Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
L’homo sapiens sotto processo «Altera l’ambiente, è colpevole»
«Tribunale» ad Agripolis, con accusa e difesa in toga
Ora non gli resta che ricorrere in appello, a patto che non sia troppo tardi. L’homo sapiens è colpevole di alterare irreversibilmente gli ecosistemi del pianeta: la sentenza porta la firma dell’Università di Padova e arriva dal «tribunale» Agripolis di Legnaro, dove ieri il Dipartimento di Territorio e Sistemi forestali ha celebrato (in toga) il «processo» reclamato dall’Associazione universitaria studenti forestali. Lui, l’imputato, era proiettato al muro con le sembianze dell’uomo vitruviano; il giudice Paolo Tarolli, docente di Idraulica agraria, ha riassunto i motivi della controversia alla giuria popolare, formata da 260 studenti della scuola di Agraria e Medicina veterinaria.
Tutto nasce da un rapporto della comunità scientifica internazionale, che teorizza il passaggio dall’Olocene all’Antropocene, una nuova epoca in cui l’uomo è un vero e proprio agente geologico. La prima domanda sorge di conseguenza: l’uomo è ancora parte integrante della natura o se n’è allontanato? Per l’accusa la domanda è mal posta: «Bisogna chiedersi se l’uomo possa continuare a esistere interagendo solo con la simil-natura che ha creato — dice Tommaso Anfodillo, docente di Ecologia e pianificazione territoriale —. L’interdipendenza è inscindibile: la natura suscita la curiosità che conduce alle scoperte scientifiche e il senso del sublime che eleva la morale, mentre la simil-natura provoca l’inaridimento che prelude al declino. L’imputato però pretende di modellare e controllare la natura a suo piacimento, mostrando un pericoloso atteggiamento di onnipotenza». L’avvocato difensore Mario Pividori, docente di Assestamento e selvicoltura, non ci sta: «L’uomo ha un’intelligenza che gli consente di saper cambiare. E migliorandosi, l’uomo tende a portarsi fuori dalla natura». Dopo la prima schermaglia, Tarolli chiede quali saranno gli effetti dell’attività umana sul pianeta: «Negli ultimi cinquant’anni — incalza Anfodillo — l’imputato ha assoggettato il 25% delle terre ai suoi interessi, ha distrutto il 20% delle barriere coralline e ha quadruplicato i bacini artificiali. Ora ha pure riversato nuovi inquinanti come le Pfas: è uno scempio generalizzato».
Il giudice accoglie l’obiezione di Pividori, secondo cui le emissioni di anidride carbonica non sono in aumento, e cede la parola alla difesa, fermata da una contro-obiezione sull’aumento dei redditi. «Ma oggi si vive meglio — insiste Pividori — acqua potabile, salute e qualità della vita sono in aumento. C’è la deforestazione, ma c’è anche carta igienica per tutti. E gli inquinanti fanno da concime per le piante». Terza e ultima domanda: c’è spazio per un progresso sostenibile? L’accusa è inflessibile: «Ci sono ancora molte carenze imputabili alla negligenza dell’uomo, per cui prevale il principio di precauzione». «Ma finora — replica Pividori — l’uomo ha risolto tutti i problemi, dalle pestilenze alla carenza di energia».
Quindi le arringhe: l’accusa chiede una pena «esemplare», perché l’uomo «non sta facendo tutto quello che potrebbe per ridurre l’impatto sul pianeta». La difesa ricorda che l’uomo «è capace di correggere i suoi errori» e in caso di condanna annuncia ricorso per conflitto d’interessi, in quanto l’uomo non può giudicare se stesso. Qualcuno chiede l’assoluzione per infermità mentale, ma il verdetto della giuria popolare è chiaro: 173 voti di colpevolezza contro 85 di innocenza. Tarolli si ritira per deliberare e si allinea: «Condanno l’uomo ad ampliare il dibattito su questi temi, a compiere almeno un’azione concreta per l’ambiente tutti i giorni e ad esigere progetti di sviluppo dai candidati di tutte le elezioni politiche». Così deciso, l’udienza è tolta.