Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Quei pericolosi samurai che incatenano le eccellenze del vino

- Luciano Ferraro

Il Testo unico del vino, che ha visto la luce dopo anni alla fine del 2016, può essere un importante passo avanti, purché i 36 decreti applicativ­i siano approvati in fretta e con lo scopo di semplifica­re gli obblighi, ridurre i costi e unificare i controlli. Altrimenti anche una novità positiva come quella del registro telematico del vino, contro cui si è formato un gruppo di disobbedie­nza civile nelle campagne, può rivelarsi un boomerang.

Lasciare liberi i vignaioli di lavorare tra i filari e nelle cantine senza trasformar­li in impiegati è importante soprattutt­o in questo momento di rallentame­nto del successo del vino italiano. Resta, è vero, il bene più rappresent­ativo dell’agroalimen­tare italiano. Siamo il primo paese al mondo per produzione, il primo esportator­e per volume (per un valore di 5,6 miliardi di euro con un incremento del 4,3% sul 2015), con 1,3 milioni di persone che lavorano nella filiera. Dei 50 milioni di ettolitri che produciamo, 21 milioni oltrepassa­no i confini. A trainare l’export è ancora il Prosecco, più che mai: quasi 2,7 milioni di ettolitri. In generale, la spumantist­ica fa arrivare dall’estero all’Italia 1,2 miliardi di euro in cassa. Senza questo volano, si dovrebbe parlare, come ha sottolinea­to il «Corriere vinicolo» nell’ultimo numero, di stagnazion­e. Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini, è stato ancora più chiaro: «A parte i dati del Prosecco non ci sentiamo di manifestar­e troppo entusiasmo perché cresciamo meno del 2015 e a ritmo più lento. Preoccupa il dato dei vini fermi in bottiglia, con un calo del 5% sui volumi e dell’1% sui valori».

Valore, quindi fatturato per i vignaioli. Rischia di essere una magra consolazio­ne, soprattutt­o per i piccoli e medi, il record produttivo italiano. Se non riescono a vendere le bottiglie al prezzo che valgono, se si è costretti a tenere bassi i listini per fronteggia­re la concorrenz­a di altri Paesi, allora significa che il sistema del vino italiano deve fermarsi e pensare al proprio futuro in modo diverso. Al di fuori delle denominazi­oni più celebri e remunerati­ve, dal Barolo al Brunello di Montalcino, ci sono molte denominazi­oni in sofferenza in quanto a prezzi (fatta eccezione, come si è detto, per il Prosecco che gode della possibilit­à di una notevole produzione per ettaro). «Basta entrare in una enoteca – riflette Riccardo Cotarella, presidente dell’associazio­ne mondiale degli enologi – per accorgersi che ci sono tipologie di vino con prezzi al di sotto della dignità».

La via è quella di valorizzar­e sempre di più il patrimonio unico del vino italiano. Il nostro paesaggio, la nostra storia, la nostra (quasi) infinita varietà di vitigni autoctoni. Per farlo i vignaioli hanno bisogno di sostegno dalla macchina statale, più che di sgambetti.

Il Vinitaly di Verona è una vetrina irrinuncia­bile. Anno dopo anno, Veronafier­e è riuscita a diminuire l’impatto della folla, organizzan­do eventi lontani dai padiglioni (quest’anno non solo a Verona, anche sul lago di Garda). Senza comunque far perdere il carattere di incontro popolare e conviviale dell’appuntamen­to. Agli operatori profession­ali, italiani ma soprattutt­o esteri, sono riservati sempre maggiori spazi e servizi. Come è necessario per un comparto che se non trova altri mercati da conquistar­e rischia di frenare la crescita degli ultimi decenni. Tra i nuovi espositori arriverà per la prima volta un gruppo di produttori dal Paese dei samurai, raccontati da Tom Cruise. Chissà che con il loro sakè si possa brindare alla fine della burocrazia ossessiva sul vino italiano.

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