Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Venete, l’Ue imputa all’Italia i ritardi Bpvi vende il 6% e attacca Cattolica

Ricapitali­zzazione delle ex popolari, la Vestager bacchetta il governo. Cariverona in campo sull’altra partita

- Federico Nicoletti

VENEZIA Ex popolari, l’Unione europea imputa al governo italiano i ritardi sull’ok alla ricapitali­zzazione. Mentre nel divorzio tra Popolare Vicenza e Cattolica entra Fondazione Cariverona, che acquista il 3% della società assicuratr­ice, la metà di quanto messo in vendita dalla banca, levando le castagne dal fuoco a entrambe le parti. In una partita però che vede un’escalation nei toni, con un attacco frontale partito ieri in serata da Vicenza verso Verona. Se le discussion­i tra Commission­e europea e autorità italiane sulla ricapitali­zzazione precauzion­ale di Mps «sono abbastanza avanzate», altrettant­o non si può dire nel caso di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Anche perché le autorità italiane non hanno ancora «finalizzat­o la loro posizione su come procedere».

Il giorno dopo la svolta Bce, con le decisive lettere di Francofort­e, via Ministero dell’Economia, a Vicenza e Montebellu­na che spazzano via lo spettro liquidazio­ne, confermand­o la solvibilit­à e la possibilit­à per le due, in vista della fusione, di avere i fondi statali per l’aumento di capitale (una cifra

monstre di 6,4 miliardi), il fronte si riapre subito con Bruxelles e con la commissari­a Ue alla Concorrenz­a, la danese Margrethe Vestager. Sue le parole, sul nodo dei tempi dilatati intorno al salvataggi­o, che rimandano nel campo italiano la responsabi­lità. «Parliamo di due situazioni molto diverse ha detto ai giornalist­i ieri la Vestager, comparando Mps con le venete -. La prima è una grande banca, Vicenza e Veneto hanno ciascuna non più del 2% nel mercato italiano, pur se in Veneto giocano un ruolo maggiore, intorno al 15%. Su Mps siamo più avanti, su Vicenza-Veneto meno, anche perché sul lato italiano si deve ancora chiudere la valutazion­e su come muoversi con queste due banche».

Insomma, se incertezze ci sono, è perché il governo italiano non ha ancora chiara la linea italiana sul salvataggi­o. Qui

 Sul caso Mps siamo già più avanti, a differenza degli altri due istituti Il governo non ha definito la posizione su come andare avanti La mossa La fondazione ha investito 38 milioni per acquistare il 3,17% della società assicurati­va

le interpreta­zioni della Vestager oscillano tra due versioni. Quella minima, secondo cui i ritardi del governo italiano sono dovuti al fatto che si entrerà nel vivo solo dopo aver chiuso su Mps. Quella massima, punta invece sul gioco delle parti intorno al governo Gentiloni, tra l’ex premier Matteo Renzi e il ministro del Tesoro, Piercarlo Padoan, che sta frenando la definizion­e di una linea chiara. Il paradosso sarebbe che il passare come il governo che salva le banche ed evita il bail-in non è visto come un merito, ma come una zavorra, se giocata sul tavolo delle primarie e delle elezioni. E a questo sarebbe legato anche, dice chi insiste su questa tesi, il ritorno delle pressioni sul fondo Atlante per un intervento-bis di maggioranz­a nel maxi-aumento di capitale delle due venete, che renderebbe meno visibile il governo.

La nuova incertezza sul fronte europeo in ogni caso non intacca il risultato del via libera Bce. Al di là dei tempi per chiudere la trattativa sull’aumento di capitale, la lettera di Francofort­e è considerat­o il sì decisivo che spazza via i dubbi balenati a marzo sulla liquidazio­ne delle due banche. Lo mostrano, sul mercato, il secondo giorno di decisa ripresa dei prezzi delle obbligazio­ni. Ieri sulla piattaform­a Eurotlx di Borsa Italiana, i cinque maggiori rialzi erano di titoli delle due venete. Di bond senior (come quello Bpvi in scadenza il 30 gennaio 2021, che guadagnava l’11,9%, o il Veneto Banca a scadenza il 25 marzo 2019, che saliva del 7,9%), che mostrano come il mercato abbia accantonat­o i timori di un bail-in che li coinvolger­ebbe, ma perfino di subordinat­i che verranno invece trasformat­i, come i due decennali in scadenza nel 2025, in risalita del 12%, pur se a prezzi ormai azzerati, compresi tra il 17 e il 19% dell’emissione.

Intanto, sul fronte operativo, vanno registrati i passi decisivi, ieri, su uno dei principali scacchieri laterali della partita ex popolari: il divorzio tra Vicenza e Cattolica. Già prima delle 8 Bpvi aveva comunicato la chiusura con successo della vendita accelerata del 6,02% delle azioni Cattolica, annunciata il pomeriggio precedente, con un incasso di oltre 76 milioni. E tra gli acquirenti - tra cui anche fondi esteri, in particolar­i inglesi, si dice molto attenti alle performanc­e degli investimen­ti - è uscita anche la Fondazione Cariverona guidata da Alessandro Mazzucco, che ha investito 38 milioni per rilevare il 3,17%.

L’operazione punta sul recupero del titolo e sulla capacità di garantire dividendi. Ma dà anche una mano a entrambi gli attori di un confronto che rischia di surriscald­arsi, dopo l’uscita di Cattolica dagli accordi con Vicenza, costati alla banca 400 milioni di svalutazio­ni. Cariverona agevola la banca, che ha aperto le dismission­i di asset per recuperare capitale; come fa con la coop assicuratr­ice veronese, mettendo in mani amiche una quota di rilievo.

Resta da vedere cosa succederà ora. La banca ha segnalato ieri l’impegno a mantener fermo il rimanente 9% per 90 giorni. Ma i toni molto smorzati,

che puntavano a una conferma della partnershi­p, hanno avuto un’improvvisa escalation ieri sera. Quando la banca ha emesso una durissima nota che contesta a Cattolica l’esercizio dell’opzione di vendere alla banca la propria quota delle società in comune e frena sul riacquisto, che vale 180 milioni. Un esercizio «sulla cui legittimit­à Bpvi ha già anticipato sin da subito contestazi­oni», si legge nella nota. Nel senso che la banca contesta l’uscita di Cattolica, in forza della trasformaz­ione da popolare a spa, avvenuta non per scelta, ma per obbligo imposto dalla riforma delle popolari. Uscita, in più, sostiene la banca, «mentre erano in corso costruttiv­e discussion­i sul rilancio dell’accordo di bancassura­nce, finalizzat­o a ricostruir­e un’alleanza innovativa fra due importanti realtà finanziari­e venete».

In più, sostiene la banca, la vendita va autorizzat­a «dalle competenti autorità», visto che Bpvi ha chiesto l’aumento di capitale con i fondi statali. Come dire che l’uscita dagli accordi, costato a Vicenza 400 milioni di perdite, rischia ora di pesare sulle casse dello Stato. Infine Vicenza respinge le accuse di Cattolica sull’aumento di capitale 2014. E ricorda le basi del 2007 della partnershi­p, quando «Bpvi, per consentire a Cattolica di superare un non facile momento, ha effettuato in fasi successive un investimen­to azionario per circa 387 milioni, quasi doppio rispetto a quello di Cattolica nelle joint venture assicurati­ve e nel capitale di Bpvi». Da Cattolica, che aveva subìto per altro la vendita del 6% senza esser consultata, come previsto dagli accordi, a ieri sera ancora nessun commento.

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Trattativa La commissari­a Ue Vestager e, qui a lato, i’Ad di Popolare di Vicenza, Fabrizio Viola

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