Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Venete, l’Ue imputa all’Italia i ritardi Bpvi vende il 6% e attacca Cattolica
Ricapitalizzazione delle ex popolari, la Vestager bacchetta il governo. Cariverona in campo sull’altra partita
VENEZIA Ex popolari, l’Unione europea imputa al governo italiano i ritardi sull’ok alla ricapitalizzazione. Mentre nel divorzio tra Popolare Vicenza e Cattolica entra Fondazione Cariverona, che acquista il 3% della società assicuratrice, la metà di quanto messo in vendita dalla banca, levando le castagne dal fuoco a entrambe le parti. In una partita però che vede un’escalation nei toni, con un attacco frontale partito ieri in serata da Vicenza verso Verona. Se le discussioni tra Commissione europea e autorità italiane sulla ricapitalizzazione precauzionale di Mps «sono abbastanza avanzate», altrettanto non si può dire nel caso di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Anche perché le autorità italiane non hanno ancora «finalizzato la loro posizione su come procedere».
Il giorno dopo la svolta Bce, con le decisive lettere di Francoforte, via Ministero dell’Economia, a Vicenza e Montebelluna che spazzano via lo spettro liquidazione, confermando la solvibilità e la possibilità per le due, in vista della fusione, di avere i fondi statali per l’aumento di capitale (una cifra
monstre di 6,4 miliardi), il fronte si riapre subito con Bruxelles e con la commissaria Ue alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager. Sue le parole, sul nodo dei tempi dilatati intorno al salvataggio, che rimandano nel campo italiano la responsabilità. «Parliamo di due situazioni molto diverse ha detto ai giornalisti ieri la Vestager, comparando Mps con le venete -. La prima è una grande banca, Vicenza e Veneto hanno ciascuna non più del 2% nel mercato italiano, pur se in Veneto giocano un ruolo maggiore, intorno al 15%. Su Mps siamo più avanti, su Vicenza-Veneto meno, anche perché sul lato italiano si deve ancora chiudere la valutazione su come muoversi con queste due banche».
Insomma, se incertezze ci sono, è perché il governo italiano non ha ancora chiara la linea italiana sul salvataggio. Qui
Sul caso Mps siamo già più avanti, a differenza degli altri due istituti Il governo non ha definito la posizione su come andare avanti La mossa La fondazione ha investito 38 milioni per acquistare il 3,17% della società assicurativa
le interpretazioni della Vestager oscillano tra due versioni. Quella minima, secondo cui i ritardi del governo italiano sono dovuti al fatto che si entrerà nel vivo solo dopo aver chiuso su Mps. Quella massima, punta invece sul gioco delle parti intorno al governo Gentiloni, tra l’ex premier Matteo Renzi e il ministro del Tesoro, Piercarlo Padoan, che sta frenando la definizione di una linea chiara. Il paradosso sarebbe che il passare come il governo che salva le banche ed evita il bail-in non è visto come un merito, ma come una zavorra, se giocata sul tavolo delle primarie e delle elezioni. E a questo sarebbe legato anche, dice chi insiste su questa tesi, il ritorno delle pressioni sul fondo Atlante per un intervento-bis di maggioranza nel maxi-aumento di capitale delle due venete, che renderebbe meno visibile il governo.
La nuova incertezza sul fronte europeo in ogni caso non intacca il risultato del via libera Bce. Al di là dei tempi per chiudere la trattativa sull’aumento di capitale, la lettera di Francoforte è considerato il sì decisivo che spazza via i dubbi balenati a marzo sulla liquidazione delle due banche. Lo mostrano, sul mercato, il secondo giorno di decisa ripresa dei prezzi delle obbligazioni. Ieri sulla piattaforma Eurotlx di Borsa Italiana, i cinque maggiori rialzi erano di titoli delle due venete. Di bond senior (come quello Bpvi in scadenza il 30 gennaio 2021, che guadagnava l’11,9%, o il Veneto Banca a scadenza il 25 marzo 2019, che saliva del 7,9%), che mostrano come il mercato abbia accantonato i timori di un bail-in che li coinvolgerebbe, ma perfino di subordinati che verranno invece trasformati, come i due decennali in scadenza nel 2025, in risalita del 12%, pur se a prezzi ormai azzerati, compresi tra il 17 e il 19% dell’emissione.
Intanto, sul fronte operativo, vanno registrati i passi decisivi, ieri, su uno dei principali scacchieri laterali della partita ex popolari: il divorzio tra Vicenza e Cattolica. Già prima delle 8 Bpvi aveva comunicato la chiusura con successo della vendita accelerata del 6,02% delle azioni Cattolica, annunciata il pomeriggio precedente, con un incasso di oltre 76 milioni. E tra gli acquirenti - tra cui anche fondi esteri, in particolari inglesi, si dice molto attenti alle performance degli investimenti - è uscita anche la Fondazione Cariverona guidata da Alessandro Mazzucco, che ha investito 38 milioni per rilevare il 3,17%.
L’operazione punta sul recupero del titolo e sulla capacità di garantire dividendi. Ma dà anche una mano a entrambi gli attori di un confronto che rischia di surriscaldarsi, dopo l’uscita di Cattolica dagli accordi con Vicenza, costati alla banca 400 milioni di svalutazioni. Cariverona agevola la banca, che ha aperto le dismissioni di asset per recuperare capitale; come fa con la coop assicuratrice veronese, mettendo in mani amiche una quota di rilievo.
Resta da vedere cosa succederà ora. La banca ha segnalato ieri l’impegno a mantener fermo il rimanente 9% per 90 giorni. Ma i toni molto smorzati,
che puntavano a una conferma della partnership, hanno avuto un’improvvisa escalation ieri sera. Quando la banca ha emesso una durissima nota che contesta a Cattolica l’esercizio dell’opzione di vendere alla banca la propria quota delle società in comune e frena sul riacquisto, che vale 180 milioni. Un esercizio «sulla cui legittimità Bpvi ha già anticipato sin da subito contestazioni», si legge nella nota. Nel senso che la banca contesta l’uscita di Cattolica, in forza della trasformazione da popolare a spa, avvenuta non per scelta, ma per obbligo imposto dalla riforma delle popolari. Uscita, in più, sostiene la banca, «mentre erano in corso costruttive discussioni sul rilancio dell’accordo di bancassurance, finalizzato a ricostruire un’alleanza innovativa fra due importanti realtà finanziarie venete».
In più, sostiene la banca, la vendita va autorizzata «dalle competenti autorità», visto che Bpvi ha chiesto l’aumento di capitale con i fondi statali. Come dire che l’uscita dagli accordi, costato a Vicenza 400 milioni di perdite, rischia ora di pesare sulle casse dello Stato. Infine Vicenza respinge le accuse di Cattolica sull’aumento di capitale 2014. E ricorda le basi del 2007 della partnership, quando «Bpvi, per consentire a Cattolica di superare un non facile momento, ha effettuato in fasi successive un investimento azionario per circa 387 milioni, quasi doppio rispetto a quello di Cattolica nelle joint venture assicurative e nel capitale di Bpvi». Da Cattolica, che aveva subìto per altro la vendita del 6% senza esser consultata, come previsto dagli accordi, a ieri sera ancora nessun commento.