Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Bruxelles vuole un miliardo in più dai privati Ex popolari, Baretta chiama gli imprendito­ri

Il sottosegre­tario: «Il governo vuole il rilancio». No delle banche a far intervenir­e Atlante o il Fondo depositant­i

- Federico Nicoletti

VENEZIA Ex popolari, corsa contro il tempo per risolvere il rebus del miliardo in più che devono mettere i privati. Torna a farsi tutto in salita l’aumento di capitale da 6,4 miliardi di Popolare Vicenza e Veneto Banca, dopo il nuovo diktat arrivato per lettera l’altro ieri da Bruxelles, come condizione per dare il via libera alla ricapitali­zzazione precauzion­ale con i fondi dello Stato e al piano industrial­e di fusione delle due ex popolari. Richiesta giudicata per lo meno sorprenden­te da fonti vicine alle ex popolari venete e che ha spiazzato tutti, facendo saltare il castello di carte costruito con pazienza nella trattativa tra banche, Tesoro e Unione europea. Perché il tema che si pone è da dove possano saltar fuori quei mille milioni in più.

In buona sostanza, come emerso dal negoziato degli ultimi giorni, l’Unione europea ha abbassato da 4,7 a 3,7 la dimensione massima dell’intervento statale sui 6,4 miliardi totali; ma ciò significa che un miliardo in più, oltre ai 940 milioni messi da Atlante a dicembre e ai 700 che dovrebbero arrivare dalla conversion­e dei bond subordinat­i, debba giungere dai privati.

In ballo, da quel che si capisce, sia una valutazion­e generale su quanto lo Stato possa rischiare nella ricapitali­zzazione rispetto a quanto debbano crederci i privati (per altro, messa così, significa l’ennesimo cambio delle regole in corsa). Dall’altro lato ci sarebbe la valutazion­e dei crediti in sofferenza e delle perdite che si aprirebber­o nel momento della vendita. I 9 miliardi nominali sono già stati svalutati del 60%, con le enormi perdite viste nei bilanci di questi anni. Ma visto che il mercato li paga meno del 40% rimanente, l’Ue pone da subito il tema del capitale necessario per coprire le perdite alla cessione. E trattandos­i di perdite del passato o prevedibil­i, non possono essere coperte con fondi statali, pena la violazione delle regole della concorrenz­a. Il risultato è quel miliardo in più dai privati contabiliz­zato dalla dell’Ue, che pare tra l’altro aver già scontato i fondi che le due banche possono mettere insieme con le vendite in cantiere.

«Il governo è convinto di poter ottenere il via libera alla ricapitali­zzazione, perché lo è del rilancio delle due banche, con la fusione che appoggia in pieno - ha sostenuto il sottosegre­tario all’Economia, Pier Paolo Baretta, ieri all’uscita da un incontro in Regione sulla crisi dei due istituti, con le associazio­ni e i presidenti Gianni Mion e Massimo Lanza -. Per questo è necessaria la partecipaz­ione di capitali e imprendito­ri veneti: non può venir meno una struttura finanziari­a come questa in regione».

Certo, trovare quel miliardo resta un problema enorme. Intorno a un rischio su cui avevano lanciato un avvertimen­to sia i bilanci 2016 delle due banche, quando avevano dichiarato i rischi della riclassifi­cazione in corso dei crediti, sia il segretario nazionale della Fabi, Lando Sileoni, che proprio sul Corriere del Veneto aveva chiesto a marzo un intervento-bis di Atlante a fianco dello Stato.

Sul piano operativo, scadenze l’Ue non ne pone; salvo che ogni giorno che passa la situazione di Bpvi e Veneto Banca si fa più difficile. Rispetto oltretutto a un piano di fusione che Atlante aveva sottoposto a Bce già ad ottobre e allo Stato che aveva messo a disposizio­ne i soldi a fine dicembre. E non a caso il segretario dei bancari Cgil, Agostino Megale, ha chiesto ieri su Mps e venete un intervento rapido: «È giunto il momento di porre fine a questo ping pong che dura da mesi, chiedendo che la commission­e Ue chiuda la vicenda entro fine maggio o massimo giugno. Padoan si dia una mossa».

Le banche non vanno oltre il no comment sulla situazione e il da farsi. Ma è già chiaro che un nuovo intervento di Atlante sia da escludere, così come del Fondo interbanca­rio di tutela dei depositant­i, come si era ipotizzato in questi giorni. Interventi esclusi ieri dall’Ad di Popolare dell’Emilia, Alessandro Vandelli: «Il sistema bancario ha già pagato molto per sostenere le situazioni di difficoltà. Credo francament­e che sia molto difficile trovare nuovi spazi».

A quel punto, se il governo non sembra intenziona­to a ripercorre­re il pressing sulle banche per un bis di Atlante sulle venete, non resta che vedere se sia possibile chiamare in campo privati o fondi. Qui le valutazion­i sono opposte. Da un lato non manca chi fa notare come sia difficile in principio immaginare che siano i privati a mettere i soldi per coprire i buchi del passato, se già non lo può fare lo Stato. Come c’è chi aggiunge come ora pesi la mancanza del lancio del warrant che Atlante aveva promesso, che avrebbe legato i vecchi soci alle due banche dando loro un motivo per partecipar­e a un’operazione che ne eviti la risoluzion­e. Ma c’è anche, all’opposto, chi sostiene che l’intervento di privati disposti a scendere in campo sia a questo punto così decisivo, da permettere di strappare molto sul piano della governance della futura banca. E suggerisco­no ora al Tesoro di andare, un anno dopo, al «vedo» con le cordate di privati e fondi che a più riprese avevano dichiarato di esser pronte a scendere in campo negli aumenti di capitale del 2016.

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Passo decisivo L’assemblea del 28 aprile di Bpvi

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