Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Bruxelles vuole un miliardo in più dai privati Ex popolari, Baretta chiama gli imprenditori
Il sottosegretario: «Il governo vuole il rilancio». No delle banche a far intervenire Atlante o il Fondo depositanti
VENEZIA Ex popolari, corsa contro il tempo per risolvere il rebus del miliardo in più che devono mettere i privati. Torna a farsi tutto in salita l’aumento di capitale da 6,4 miliardi di Popolare Vicenza e Veneto Banca, dopo il nuovo diktat arrivato per lettera l’altro ieri da Bruxelles, come condizione per dare il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale con i fondi dello Stato e al piano industriale di fusione delle due ex popolari. Richiesta giudicata per lo meno sorprendente da fonti vicine alle ex popolari venete e che ha spiazzato tutti, facendo saltare il castello di carte costruito con pazienza nella trattativa tra banche, Tesoro e Unione europea. Perché il tema che si pone è da dove possano saltar fuori quei mille milioni in più.
In buona sostanza, come emerso dal negoziato degli ultimi giorni, l’Unione europea ha abbassato da 4,7 a 3,7 la dimensione massima dell’intervento statale sui 6,4 miliardi totali; ma ciò significa che un miliardo in più, oltre ai 940 milioni messi da Atlante a dicembre e ai 700 che dovrebbero arrivare dalla conversione dei bond subordinati, debba giungere dai privati.
In ballo, da quel che si capisce, sia una valutazione generale su quanto lo Stato possa rischiare nella ricapitalizzazione rispetto a quanto debbano crederci i privati (per altro, messa così, significa l’ennesimo cambio delle regole in corsa). Dall’altro lato ci sarebbe la valutazione dei crediti in sofferenza e delle perdite che si aprirebbero nel momento della vendita. I 9 miliardi nominali sono già stati svalutati del 60%, con le enormi perdite viste nei bilanci di questi anni. Ma visto che il mercato li paga meno del 40% rimanente, l’Ue pone da subito il tema del capitale necessario per coprire le perdite alla cessione. E trattandosi di perdite del passato o prevedibili, non possono essere coperte con fondi statali, pena la violazione delle regole della concorrenza. Il risultato è quel miliardo in più dai privati contabilizzato dalla dell’Ue, che pare tra l’altro aver già scontato i fondi che le due banche possono mettere insieme con le vendite in cantiere.
«Il governo è convinto di poter ottenere il via libera alla ricapitalizzazione, perché lo è del rilancio delle due banche, con la fusione che appoggia in pieno - ha sostenuto il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, ieri all’uscita da un incontro in Regione sulla crisi dei due istituti, con le associazioni e i presidenti Gianni Mion e Massimo Lanza -. Per questo è necessaria la partecipazione di capitali e imprenditori veneti: non può venir meno una struttura finanziaria come questa in regione».
Certo, trovare quel miliardo resta un problema enorme. Intorno a un rischio su cui avevano lanciato un avvertimento sia i bilanci 2016 delle due banche, quando avevano dichiarato i rischi della riclassificazione in corso dei crediti, sia il segretario nazionale della Fabi, Lando Sileoni, che proprio sul Corriere del Veneto aveva chiesto a marzo un intervento-bis di Atlante a fianco dello Stato.
Sul piano operativo, scadenze l’Ue non ne pone; salvo che ogni giorno che passa la situazione di Bpvi e Veneto Banca si fa più difficile. Rispetto oltretutto a un piano di fusione che Atlante aveva sottoposto a Bce già ad ottobre e allo Stato che aveva messo a disposizione i soldi a fine dicembre. E non a caso il segretario dei bancari Cgil, Agostino Megale, ha chiesto ieri su Mps e venete un intervento rapido: «È giunto il momento di porre fine a questo ping pong che dura da mesi, chiedendo che la commissione Ue chiuda la vicenda entro fine maggio o massimo giugno. Padoan si dia una mossa».
Le banche non vanno oltre il no comment sulla situazione e il da farsi. Ma è già chiaro che un nuovo intervento di Atlante sia da escludere, così come del Fondo interbancario di tutela dei depositanti, come si era ipotizzato in questi giorni. Interventi esclusi ieri dall’Ad di Popolare dell’Emilia, Alessandro Vandelli: «Il sistema bancario ha già pagato molto per sostenere le situazioni di difficoltà. Credo francamente che sia molto difficile trovare nuovi spazi».
A quel punto, se il governo non sembra intenzionato a ripercorrere il pressing sulle banche per un bis di Atlante sulle venete, non resta che vedere se sia possibile chiamare in campo privati o fondi. Qui le valutazioni sono opposte. Da un lato non manca chi fa notare come sia difficile in principio immaginare che siano i privati a mettere i soldi per coprire i buchi del passato, se già non lo può fare lo Stato. Come c’è chi aggiunge come ora pesi la mancanza del lancio del warrant che Atlante aveva promesso, che avrebbe legato i vecchi soci alle due banche dando loro un motivo per partecipare a un’operazione che ne eviti la risoluzione. Ma c’è anche, all’opposto, chi sostiene che l’intervento di privati disposti a scendere in campo sia a questo punto così decisivo, da permettere di strappare molto sul piano della governance della futura banca. E suggeriscono ora al Tesoro di andare, un anno dopo, al «vedo» con le cordate di privati e fondi che a più riprese avevano dichiarato di esser pronte a scendere in campo negli aumenti di capitale del 2016.