Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Bomba a Rialto» trasferiti i tre estremisti islamici
I tre presunti estremisti kosovari trasferiti dalle carceri venete a Rossano e Sassari
VENEZIA Li chiamano «carceri dei terroristi», con tutto quello che ne consegue in termini di polemiche a livello locale, perché un po’ di timore c’è, a sapere che a casa tua ci sono più di una decina di persone che, nell’ipotesi d’accusa, ti vorrebbero tagliare la gola, sebbene chiusi in cella. D’altra parte sono due strutture che hanno delle ali di massima sicurezza e gli jihadisti «di casa nostra» in questo momento sono considerati i criminali più pericolosi che ci siano, quasi alla pari con i mafiosi. Non potevano dunque che finire a Rossano Calabro e a Sassari i tre presunti estremisti islamici kosovari arrestati lo scorso 30 marzo da Carabinieri e Polizia su ordine del gip Alberto Scaramuzza, come aveva richiesto la procura allora guidata da Adelchi d’Ippolito, con il titolare del fascicolo, il pm Francesca Crupi. L’accusa per tutti (e anche per un 17enne di cui si è occupato il tribunale per i minorenni) è di associazione terroristica e dalle intercettazione era addirittura trapelata la volontà di un attentato esplosiva a Rialto.
Quel giorno Arjan Babaj, 27 anni, considerato l’ideologo della presunta cellula terroristica, il 24enne Fisnik Bekaj e infine il 25enne Dake Haziraj sono stati rinchiusi in celle di isolamento di tre carceri diversi: Venezia il primo, Treviso il secondo, Belluno il terzo. Ma la situazione, lo si sapeva, era provvisoria, perché quelle case circondariali non sono dotate di quei dispositivi di massima sicurezza richiesti. E così, dopo circa tre mesi di isolaaccusati mento, poco più di un mese fa – su disposizione del dipartimento penitenziario e con un certo disappunto dei difensori e pare anche della procura, che preferivano averli qui in Veneto – i tre sono stati spostati: Haziraj e Babaj, difesi rispettivamente dagli avvocato Alessandro Compagno e Patrizia Lionetti da un lato e Francesco Pelliccia dall’altro, sono finiti entrambi a Rossano Calabro, dove un paio d’anni fa si era raggiunto il numero record di una ventina di detenuti di jihadismo (ora dovrebbero essere circa una decina); Bekaj, invece, che è difeso dall’avvocato Stefano Pietrobon, è a Sassari, nel ramo che a inizio anno venne ispezionato dal deputato di centrodestra ed ex presidente della Regione Mauro Pili, che non esitò a definirlo «una bomba islamica terroristica».
I tre, da quello che riferiscono i legali, sono «tranquilli», per quanto lo possa essere chi a breve taglierà il traguardo dei cinque mesi in cella con un’accusa così grave. La tesi di fondo è sempre la stessa, ovvero che ci potrà anche essere stato qualche tono un po’ esagitato e la condivisione e la visione di video poco consoni al momento storico (tipo il tutorial in cui si insegnava come uccidere con un coltello o i vari video di martiri e martirii), ma questo non significa certo un’affiliazione all’Isis e al jihad contro gli infedeli: si sfiora il reato di opinione, sostengono i difensori. I tre stanno aspettando il processo per potersi difendere, anche se nessuno di loro ha pensato o voluto farsi sentire dal magistrato. Il processo dovrebbe essere vicino, non prima però che il pm Crupi chiuda le indagini.