Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Quei figli accolti in aeroporto come fossero sopravvissuti
Sono rientrati ieri da Barcellona. La rassegnazione di chi parte
TREVISO Carolina sbuca dalla porta e sorride. Il papà le porge un mazzo di fiori enorme e la abbraccia, come fosse una sopravvissuta. A poca distanza la mamma Maria Elena quasi si commuove. Carolina sorride e li tranquillizza. «Ho visto tanto caos, ho vista tanta gente correre. Ma ero distante, non è successo nulla». Siamo all’aeroporto Canova di Treviso, sono le 15 di sabato pomeriggio. Con qualche minuto di ritardo è atterrato l’aereo da Barcellona. Ne escono volti sorridenti e sereni, che cozzano con la tensione e il nervosismo della sala di attesa colma di parenti e amici che continuano a guardare febbrili i minuti che passano.
C’è anche un altro signore, Dino di Colle Umberto, nel Trevigiano. Attende i due figli, Giovanni e Diego che con l’amico Simone tornano dopo dieci giorni di vacanza. Hanno tutti tra i 20 e i 22 anni, la vacanza della vita che non dimenticheranno mai. «Eravamo sulla Rambla, l’altro giorno», raccontano dopo aver salutato il padre. «Qualche centinaio di metri più avanti rispetto all’attentato, eravamo verso il mare. Abbiamo corso, corso, corso e corso e ci siamo salvati entrando nella casa di un nostro amico». Il padre li guarda, non sa se sentirsi orgoglioso o fortunato. «Pare brutto dirla così, ma è andata bene», ripete per due volte di fila. A poca distanza un ventenne di Cittadella, nel Padovano. Si chiama Armando. «Io ero distante, non ho visto niente», dice. «Ma che tensione». E poi, di fretta, nel flusso di persone che scappano verso casa.
Al piano superiore, pochi minuti prima, si era invece celebrato il rito contrario, quello della partenza. L’aereo per Barcellona, anche questo in ritardo, era pieno: 189 posti, tutti confermati, nessuna defezione. Non se lo aspettavano, in biglietteria: dopo gli altri attentati in media non si presentavano una quarantina di persone. «Tanto, questo è il momento più sicuro», dice un capofamiglia, il figlioletto gioca sulla valigia e la moglie in fianco fa cenno di sì con la testa. «Impossibile che ricapiti». Il bar lì vicino è pieno, i ritardi della giornata stanno intasando l’aeroporto. La barista corre veloce. «Se ho visto gente preoccupata? Nessuno, anzi: dicevano che tanto adesso per un po’ Barcellona sarà sicurissima». Arriva un gruppone di adolescenti, fanno tutti la quarta Liceo al Brocchi di Bassano, lo stesso di Luca Russo. La loro insegnante, Tiziana Giancotti, sembra tranquilla. «Partiamo per Valencia, è un progetto di Erasmus Plus. I ragazzi non sono preoccupati, parlano poco della cosa. Certo è che non è un bel momento». I minorenni sorridono, pensano più ai mesi di scuola e lavoro che li attendono che non alle bombe. Come altri due giovani originari dell’India. «Partiamo senza problemi», spiegano in inglese. «Eravamo qui in vacanza, lavoriamo a Londra e ora torniamo a Barcellona. Non bisogna avere paura». Poi il tabellone annuncia un nuovo ritardo. «Ecco, questo piuttosto è un problema», e scappano verso il bar.
È il momento più sicuro, impossibile ricapiti ora