Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I profughi: «Fuggiamo dallo stesso orrore, ora non accusate noi» Migranti tra solidariet­à e prese di distanza

- di Angela Tisbe Ciociola © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

BAGNOLI DI SOPRA (PADOVA) Sepolta tra i campi di granturco ormai alto, la ex caserma dell’areonautic­a di San Siro a Bagnoli, nel Padovano, dove da due anni sono ospitati quasi 800 profughi, sembra essere un luogo fuori dal tempo da dove i rumori della vicina strada si sentono ovattati. Eppure anche qui sono arrivati echi lontani di quanto successo a Barcellona. Grazie agli immancabil­i telefonini che tengono ben stretti in mano, unico appiglio con il mondo esterno, alcuni dei richiedent­i asilo sono riusciti a sapere che, a migliaia di chilometri da qui, un’auto si è scagliata sulla folla a passeggio. Su di loro, però, abituati ad episodi simili, le vittime della Catalogna non hanno avuto un grande impatto. Nonostante questo, quando escono alla spicciolat­a dal cancello del centro di accoglienz­a, chi in bici e chi a piedi, si fermano volentieri a scambiare due parole con chi chiede quello che pensano, alcuni in inglese, altri in francese, altri ancora provando ad accennare le poche parole di italiano imparate durante le lezioni di lingua.

«Capisco quello che possono passare i parenti delle vittime. Ci sono passato anche io». Talib, arrivato dalla Guinea da pochi mesi, ha l’espression­e dura mentre parla e ricorda quello che ha vissuto, negli occhi lo sguardo di chi ne ha già viste tante, e invece ha solo 17 anni. «Anche mio fratello è morto in un attentato in strada, ed aveva poco più di me. Per questo mia madre mi ha fatto partire. Non voleva perdere un altro figlio, voleva che io almeno mi salvassi».

«Ora capite anche voi cosa proviamo noi, quando ci sono morti nelle nostre strade, quando perdiamo un familiare o un amico - ribatte più severo Ike, provenient­e dal Camerun, un ragazzone alto quanto il granturco lungo la strada -. Eppure queste cose succedono da sempre nei nostri Paesi, per questo motivo scappiamo, ma vi preoccupat­e solo quando capita nelle vostre città».

Una preoccupaz­ione, comunque, emerge prepotente in tutti i richiedent­i asilo: mettere più distanza possibile tra se stessi e gli autori degli attentati. La paura, infatti, che episodi di questo genere possano avere ripercussi­oni anche sulla loro situazione personale è tanta. Sanno che non sono ben visti dai residenti della zona e che vengono additati come i responsabi­li di attentati o di reati più piccoli. E in effetti è questo che emerge leggendo quanto scritto sui social dei comitati «No profughi», veicolo principale per lo scambio di notizie e per il commento di episodi come quello di Barcellona. «Ora che abbiamo bloccato gli sbarchi, siamo nel mirino - è scritto tra i commenti su Facebook della pagina «Bagnoli dice no» -. Senza contare poi tutti quei “richiedent­i asilo” che già sono in Italia e manco sappiamo chi veramente siano». «Noi però veniamo da altri Paesi, non facciamo queste cose», specifican­o subito i diretti interessat­i per mettere in chiaro la situazione.

«Davvero una delle vittime era di queste zone - chiede un uomo originario del Bangladesh, dopo aver tradotto la domanda per due suoi amici ed aver scambiato un paio di parole con loro -? Ci dispiace, voi ci avete accolto. La nostra religione comunque non vuole questo, noi rispettiam­o la vita, sappiamo che è preziosa. Chi fa queste cose non è un vero credente».

L’ex caserma Frammenti di notizie su quanto successo a Barcellona sono arrivati anche a Bagnoli

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