Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Save, Marchi spinge i Benetton verso l’uscita Parte domani l’Opa. E Agorà dichiara di volere la società fuori dalla Borsa anche se non si supererà la soglia del 90%, con la fusione in una società non quotata. Un ostacolo in più se Atlantia volesse restare
VENEZIA Save, scatta domani l’Opa obbligatoria di Marchi e dei fondi. E dal documento d’offerta di Agorà, approvato da Consob e pubblicato ieri, emerge la determinazione dei soci riuniti in Milione di arrivare comunque all’uscita dalla Borsa di Save. Anche con una fusione in una società non quotata, quindi probabilmente semplificando la catena di controllo che da Milione ad Agorà arriva a Save. Il tutto pare funzionale a spingere verso l’uscita l’Atlantia in mano ai Benetton.
Il punto di partenza è che l’operazione di acquisto di 21,7 milioni di azioni, il 39,3% della società che gestisce l’aeroporto di Venezia, scatta già domani alle 8.30 e si concluderà alle 17.30 di venerdì 13 ottobre. Il pagamento azioni è fissato per il 20 ottobre (il 3 novembre in caso di proroga). Venti giorni in cui entra nel vivo il riassetto della società, seguente al divorzio, al piano superiore, in Finint tra Enrico Marchi e Andrea De Vido (il contratto, insieme a quello che ha regolato l’uscita di Morgan Stanley da Agorà e Save, è stato eseguito il 9 e 10 agosto), che vedrà confermata la nuova catena di controllo a partire dal veicolo Milione, detenuta per il 40,6% a testa dalla Leone di Deutsche Bank e da Infrahub del fondo francese Infravia e per il 19% dalla Sviluppo 87 che fa capo ad Enrico Marchi.
Venti giorni che permetteranno di giungere all’assemblea del 23 ottobre che dovrà nominare il nuovo cda a 11 membri già con il nuovo assetto (lista di maggioranza con 10 membri di cui tre per Marchi con lui presidente e l’Ad Monica Scarpa confermata - tre ciascuno per i fondi, un ulteriore consigliere concordato a tre, uno di minoranza (e se Atlantia resta senza inserire un proprio rappresentante, andrà alla Città Metropolitana di Venezia guidata dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, alleato di Marchi), che potrà diventare il secondo concordato a tre, se l’Opa avrà sgomberato il campo dalle minoranze.
Il nodo decisivo sullo sfondo resta la «guerra fredda» tra Marchi e i fondi alleati e la Atlantia dei Benetton. Decisivo per una partita che vale un miliardo e mezzo di euro, il totale delle risorse mobilitate intorno alla complessa architettura che governerà Save per i prossimi anni: 457 milioni per pagare cash a 21 euro le azioni, dopo averne sborsati 446 per acquisire la quota di minoranza, assistiti da un finanziamento bancario per massimi 440 milioni. A cui si devono aggiungere i 580 milioni di finanziamento senza garanzie di Intesa Sanpaolo e Unicredit su Save, per rifinanziare parte dell’indebitamento, il circolante e parte degli investimenti del contratto di programma.
Decisivo perché dai documenti emerge rafforzata la volontà di Marchi e soci di far uscire dalla Borsa Save. A toccare il tema, le indicazioni che filtrano è che la questione non è decisiva. Ma a leggere le carte l’impressione che se ne ricava è un’altra. Così, ad esempio, nel comunicato del cda di Save di giovedì (assente giustificato il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro), che ha approvato l’offerta e ritenuto congruo il prezzo di 21 euro, è scritto che se l’Opa non facesse superare ad Agorà il 90% delle azioni per far uscire la società dalla Borsa, «l’offerente valuterà possibili soluzioni alternative per raggiungere il delisting (inclusa la fusione in una società non quotata), anche tenuto conto di ogni ulteriore azione necessaria a tale fine».
Ora l’unica quota in grado di bloccare il delisting è il 22% di Atlantia. Che deve ora mettere in conto, se pensa di non consegnare le azioni incassando 247 milioni, 66 in più di quelli spesi un anno fa per acquisire il 22%, di trovarsi con una quota non liquidabile.
E l’attesa è tutta su Atlantia. Che deve ancora decidere il da farsi, come ha confermato l’altra sera l’Ad Marco Patuano. «Siamo nel mezzo di un momento delicato, meglio non pronunciarsi», ha detto il manager. Dove il «delicato» pare più riferibile alle possibili conseguenze innescate del clima aperto dalle dimissioni dei tre consiglieri Giorgio Martorelli, Luigi Cereda e Maria Leddi Maiola, indipendenti ma riferibili al fondo Amber e alla Fondazione di Venezia, che avevano venduto le azioni ad Atlantia. Martorelli aveva spiegato il passo, di fronte alla rinuncia di Merryl Linch al ruo- lo di advisor per gli indipendenti per valutare la correttezza del prezzo. Spiegata per l’assenza di proiezioni sui numeri dei prossimi anni. Dati che non potevano esser forniti, la risposta di Save, che aveva dichiarato di aver fornito però tutti i dati a disposizione per le valutazioni.
Un casus belli. Giocato intorno a numeri comunque rilevanti. Soprattutto se richiesti per le decisioni di consiglieri vicini alle parti che avevano venduto le azioni ad Atlantia. Il
casus belli in ogni caso non ha avuto seguiti: gli advisor di cda e indipendenti (Mediobanca e Leonardo), così come i consiglieri indipendenti - Paolo Tagliavini, Roberto Angeloni e Francesco De Lorenzi - che hanno dato il parere, e il cda hanno valutato il prezzo giusto. E Consob ha dato il via libera rapidamente al prospetto per l’Opa. Si vedrà ora se i 20 giorni di durata trascorreranno tranquilli.