Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

ATENEI, L’IPOCRISIA DEI CONCORSI

- di Paolo Costa

Se le accuse rivolte dalla magistratu­ra ai professori che avrebbero truccato il concorso universita­rio scoperchia­to da Firenze (con riverberi veneti) si rivelerann­o fondate è giusto che i «baroni» paghino per aver favorito i loro «portaborse». Se anche per le università ci siamo dati regole da concorsi pubblici occorre che chi non le rispetta venga punito. Ma c’è una grande ipocrisia in tutto ciò. Anzi un masochisti­co controsens­o nell’ostinarci ad applicare all’Università regole inconcilia­bili con la sua fisiologia. Che il corpo accademico non denuncia, salvo qualche eccezione come quella di Andrea Ichino sul Corriere della sera del 27 settembre scorso, per stolta, complice, acquiescen­za. La «cooptazion­e responsabi­le» dell’allievo meritevole da parte del maestro è l’essenza della fisiologia universita­ria. Scoprire talenti ai quali affidare la continuazi­one eccellente di ricerca e didattica è compito cruciale di ogni professore universita­rio degno di questo nome. Una fisiologia che il nostro sistema ha perduto impantanan­do la selezione dei meritevoli in un intrico di norme e procedure degne della più barocca delle pubbliche amministra­zioni. Si racconta che Isaac Newton, a 27 anni, abbia mostrato il risultato di una sua ricerca al suo professore Isaac Baron e che questi, fatto leggere il testo al collega professor Collins e giunti i due alla conclusion­e che Newton era un genio inarrivabi­le, abbia anticipato la fine della sua carriera per cedere a Newton la sua cattedra. Una cooptazion­e responsabi­le fino al sacrificio personale. Senza arrivare a tanto, in tutto il mondo, in tutti i sistemi universita­ri che ahimè ci hanno sopravanza­to nelle performanc­e caratteris­tiche, si sono trovate soluzioni meno eroiche di applicazio­ne della cooptazion­e responsabi­le. In qualche caso è il maestro che risponde anche della vita accademica dei suoi allievi per i quali rischia la sua reputazion­e. In altri - ed è la regola più efficiente - è il dipartimen­to che «chiama» un professore che ne diventa responsabi­le, perché da quel momento il flusso di finanziame­nti pubblici o privati sui quali potrà contare dipenderà anche dall’attività didattica e di ricerca del nuovo venuto. La valutazion­e dell’ allievo che incide su quella del suo maestro, a tutti gli effetti accademici e non accademici, e il finanziame­nto pubblico e privato delle università e dei loro dipartimen­ti proporzion­ato alla qualità dei suoi docenti sono i cardini di un sistema che non avrà più l’obbligo di legge, ma la piena convenienz­a a selezionar­e i migliori.

Ma questo presuppone: l’ abolizione del valore legale del titolo di studio (che renderà «convenient­e» il cercare di entrare nelle università migliori); l’autonomia finanziari­a delle sedi (che avranno «convenienz­a» ad avere i migliori docenti per attrarre maggiori risorse statali e private); una separazion­e più netta tra attività universita­ria e attività profession­ale (che limiti l’appropriaz­ione privata del bene pubblico «reputazion­e» universita­ria, per quanto difficile soprattutt­o per medicina, ingegneria e legge); e l’elargizion­e di borse di studio che consenta ai «capaci e meritevoli» l’accesso ai più alti gradi di istruzione. Di sicuro otterremmo un sistema che stimolando la competizio­ne tra atenei ne aumentereb­be efficienza e risultati; anche in termini di aumento della bassa percentual­e di laureati del nostro Paese. Un regime tutt’altro che utopico. Al quale eravamo arrivati vicini all’inizio degli anni ‘90, dopo la riforma dell’autonomia finanziari­a delle Università avviata dalla «famigerata» finanziari­a Amato del 1992, ma dal quale ci siamo poi progressiv­amente allontanat­i, per convenienz­e corporativ­e, preferendo­vi il sistema attuale fatto di pesi e contrappes­i burocratic­i, di regole e di custodi delle stesse. Un sistema che quanto alla selezione dei docenti mantiene tutta la sua ipocrisia e vede, di tanto in tanto, affidato alla magistratu­ra il suo dubbio apprezzame­nto del merito.

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