Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Sequestrato lo stabilimento Marlane torna l’inchiesta sulle esalazioni tossiche
Trenta morti, nuove indagini, sette indagati: la fabbrica resta una spina nella storia dei Marzotto
VALDAGNO (VICENZA) È l’eredità «scomoda» della Lanerossi. E in quel bel sogno imprenditoriale che è il colosso valdagnese Marzotto, intreccio secolare di storie di tessuti, abbigliamento, coraggiosi capitani d’industria e lotte sociali, la vicenda Marlane ogni tanto riaffiora come un incubo.
Il capannone della fabbrica calabrese Marlane-Marzotto, lo stabilimento di Praia a Mare (Cosenza) in cui non si lavora e non si trattano più lane dal 2004, ieri è stato sequestrato dai carabinieri del Noe di Catanzaro. I sigilli seguono una nuova inchiesta aperta poche settimane fa dalla procura di Paola: si indaga per la morte di trenta operai e la malattia di altri dodici, provocate secondo l’accusa dalle esalazioni tossiche delle sostanze usate in reparto. L’indagine è analoga, quasi gemella, rispetto a un procedimento appena concluso che vedeva ex dirigenti Marzotto imputati per il decesso di altri 94 lavoratori della fabbrica calabrese. Tutti sono stati assolti in primo grado e proprio lunedì scorso è arrivato il proscioglimento anche in appello.
«La Marzotto acquisì Lanerossi nel 1987, feci cambiare immediatamente tutti i prodotti chimici e tintoriali in uso. Loro impiegavano cromo esavalente nei coloranti, in Marzotto usavamo coloranti vegetali da quindici anni. Sono disgustato da come è stata presentata questa vicenda». Il conte Pietro Marzotto si sfogava così, due anni e mezzo fa, dopo l’assoluzione in primo grado. «Siamo sempre stati attentissimi al problema ambientale» insisteva amaro l’imprenditore, ex numero uno nella gestione del gruppo e come tale fra gli imputati del primo processo, ricordando l’acquisizione di trent’anni prima. Infatti, oltre alle produttive manifatture vicentine firmate Lanerossi - dalle maglierie di Piovene Rocchette ai moderni capannoni della zona industriale di Schio, fino ai capolavori di archeologia industriale quale l’ottocentesca Fabbrica Alta - nel passaggio di mano dall’Eni entrò a far parte del patrimonio Marzotto pure la fabbrica calabrese, destinata a portare alla ribalta delle cronache il gruppo di Valdagno per fatti tutt’altro che positivi.
Qui, a Praia a Mare, negli ultimi quindici anni si sono concentrate le indagini della procura di Paola per una serie di decessi di ex lavoratori molto simili nelle cause: tumori.
Il primo ciclo investigativo si è concretizzato nel 2011 in un processo concluso nel 2014 con l’assoluzione di tutti i dodici imputati.
Le accuse vertevano su due filoni: da un lato l’ipotesi di reato di «disastro ambientale», circa la presenza di scorie sepolte accanto all’azienda calabrese, dall’altro le ipotesi di omicidio colposo e lesioni con riferimento ai decessi di 94 operai e la malattia di altri 65.
Ora il pubblico ministero Teresa Valeria Grieco ha istruito una nuova indagine, ipotizzando ancora l’omicidio colposo e le lesioni gravissime colpose.
Si parte da fatti diversi, dalle indagini del Noe risulterebbe che i decessi di trenta ex dipendenti tra il 1988 e il 2013 e la malattia di altri dodici sarebbero legati ad una serie di omissioni: le protezioni erano insufficienti nel processo di lavorazione del tessuto, compresa la tinteggiatura con l’uso di sostanze ritenute cancerogene.
Sono indagati sette dei precedenti imputati. Tre i veneti: il trevigiano Antonio Favrin, attuale presidente della Marzotto e amministratore delegato dal 20014 al 2004, è difeso dall’avvocato Niccolò Ghedini; il trevigiano Silvano Storer, ad di Marzotto dal 1997 al 2001, è rappresentato dal legale Stefano Putinati di Milano; il vicentino Attilio Rausse, responsabile dello stabilimento dal 2003 al 2004, è rappresentato dal legale Francesco Paolo Sisto di Bari. Con loro sono indagati gli ex manager Vincenzo Benincasa, Salvatore Cristallino, Ivo Comegna, Carlo Lomonaco.
Al sequestro dello stabilimento, disposto dal pm Grieco e dal procuratore di Paola Pierpaolo Bruni, dovrebbe seguire da ottobre una serie di verifiche da parte di un perito incaricato dalla procura. La perizia consisterà in scavi e carotaggi nell’ex magazzino dei filati e nell’area esterna dello stabilimento, ma anche nel prelievo di campioni nell’ex cisterna acque e nell’impianto di areazione.