Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Operata, ma il tumore non c’era: «E tutti stavano zitti»
Chioggia, l’incredibile disavventura di una donna, oggi risarcita: tre errori in un colpo solo
VENEZIA Tre errori in un colpo solo del sistema sanitario: una diagnosi errata che aveva visto un tumore che non c’era, un intervento più invasivo del dovuto e, infine, il silenzio successivo, che ha costretto una donna chioggiotta a convivere per tre anni con l’angoscia (in realtà infondata) di potersi ammalare di nuovo. «E’ una di quelle storie che uno pensa di vedere solo in televisione - racconta lei dieci anni dopo, forte di una sentenza del tribunale di Venezia che l’ha risarcita - E’ una vicenda vergognosa».
Tutto inizia nel 2007, quando la donna viene sottoposta a un controllo al seno all’ospedale di Chioggia, dopo il quale le vennero prescritte una mammografia, un’ecografia e infine una biopsia. Proprio quest’ultima si era conclusa con una diagnosi di carcinoma alla mammella destra: il 31 luglio di quell’anno era stata ricoverata e poi operata con una mastectomia destra totale. Per tre anni aveva effettuato tutti i controlli del cosiddetto follow-up, senza cadere in alcuna ipotesi di recidiva.
Il perché l’ha però poi capito pian piano, insospettendosi sempre più. Sentiva che tutte le altre pazienti venivano sottoposte a radioterapia, mentre lei non faceva nulla. Fortunata? Nel dubbio si è rivolta a uno studio medico legale, che ha ripreso in mano tutti le cartelle cliniche e le ha dato un responso choc: quel carcinoma in realtà non c’era mai stato. Lei a quel punto si è rivolta agli avvocati Guido Simonetti ed Enrico Penzo e ha fatto causa sia all’Usl 14, che all’epoca gestiva l’ospedale di Chioggia (ora Usl 3), che al laboratorio privato che aveva analizzato il tessuto prelevato nella biopsia. Il giudice Lisa Torresan ha quindi incaricato un perito, le cui conclusioni sono state le stesse: da un lato infatti è stato riscontrato l’errore diagnostico del laboratorio Pennelli, che non ha correttamente svolto le analisi dei campioni prelevati con l’agobiopsia, o quanto meno non ha previsto ulteriori analisi per approfondire un primo esito che lasciava aperti dei dubbi. Ma anche l’azienda sanitaria avrebbe sbagliato tipologia di intervento. Non si doveva fare quello – scrive il medico legale Davide Roncali – «invasivo e demolitivo», cioè la mastectomia, ma la «più opportuna e meno invasiva» asportazione del linfonodo sentinella. Tra l’altro la paziente aveva dato il consenso a quest’ultimo intervento, mentre il primo era previsto solo in caso d’urgenza.
Le due parti si erano scaricate le colpe a vicenda. Il laboratorio si era difeso ribadendo che il campione conteneva delle tracce di quello che poteva essere un carcinoma e che eventualmente spettava all’Usl un approfondimento prima di operare. L’Usl invece aveva detto che l’errore era solo del laboratorio e del suo referto sbagliato. Ma secondo il giudice ancor più grave è stato il comportamento successivo dell’azienda sanitaria (tanto che l’ha condannata a pagare l’80 per cento del risarcimento), che pur avendo potuto vedere negli esami successivi all’operazione che il tumore non c’era, non ha avvisato la paziente, costringendola a tre anni di controlli. «Hanno sbagliato e sono stati pure zitti - si arrabbia la donna - Hanno certificato cose non veritiere e per me ora è un trauma sapere che il sistema sanitario può commettere errori del genere. La prossima volta non mi fiderò mai più di una sola diagnosi».