Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Il boato, le grida, ci salvammo per caso È giunta l’ora di scoprire tutta la verità»

- Andrea Alba © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VICENZA «Ben venga un nuovo rinvio a giudizio per arrivare alla verità, completa su quelle iene che misero la bomba. Ancor più, ben vengano altre indagini per scoprire chi furono i mandanti».

Sono passati 37 anni dalla strage di Bologna. Pia Graziotto, vicentina era al primo binario. Lei si salvò con la figlia di 9 anni, Raffaella Biasin: entrambe ferite, la madre con una ferita ad un piede e la bimba con la mano trafitta da schegge di vetro. Sopravviss­ute a una mattanza che contò 85 morti, otto dei quali veneti: i vicentini Roberto De Marchi, Roberto Gaiola ed Elisabetta Manea, i rodigini Katia Bertasi e Maria Angela Marangon, i padovani Anna Maria Salvagnini e Antonella Marina Trolese, il veronese Davide Caprioli. Altri 200 i feriti, tra cui due padovani, quattro vicentini e un veronese.

Pia Graziotto, classe 1937, segue con attenzione le novità di questi giorni: il rinvio a giudizio di Gilberto Cavallini come presunto complice di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, e la riapertura dell’indagine sui mandanti.

Graziotto, cosa pensa di queste due novità?

«Ritengo che se si è arrivati alla condanna, per Fioravanti e gli altri, la tesi dell’accusa fosse veritiera. Se ci sono elementi validi per accostare un quarto colpevole è giusto farlo. Purché si arrivi alla verità completa. Oggi non c’è».

In che senso?

«Non ci sono solo coloro che hanno materialme­nte deposto la valigia con la bomba. Manca la verità sui mandanti. Però temo che anche la procura generale non arriverà a scoprire cosa è successo. Troppi atti sono ancora secretati o sono stati fatti sparire, c’è stato un depistaggi­o. Lo ha denunciato pure il presidente dell’associazio­ne delle vittime...».

Partecipa alle cerimonie di commemoraz­ione?

«Ogni 2 agosto. Ma per noi è ancora difficile parlare dell’accaduto».

Cosa ricorda di quel giorno?

«È stata una mezza guerra. La mia famiglia si salvò per una serie di coincidenz­e. Ero andata a Bologna con Raffaella, per prendere la figlia più grande che rientrava da Senigallia, dove era andata con una maestra e altri bambini: dovevano salire proprio sul treno che fu sventrato dallo scoppio sul binario, invece per fortuna presero quello successivo».

E voi che eravate lì?

«Un’altra coincidenz­a. Io e mia figlia eravamo all’edicola dietro alla pensilina, per comprare il libretto con gli orari. A un tratto ci fu un boato, poi il buio assoluto. Un silenzio di tomba, nessuno fiatava. La bimba mi diceva che aveva perso gli occhiali. E poi iniziò il calpestio sui vetri dei superstiti, le urla, i lamenti, la gente si chiamava, disperata. La scena più spaventosa la vidi dall’auto che ci portò all’ospedale: la gente intorno al piazzale era appiattita sui muri delle case circostant­i, una massa enorme... È bene che si indaghi, ma stavolta trovino la verità per intero».

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