Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Voto all’estero per posta «Non piace a nessuno, la legge va cambiata»
I veneti nel mondo: «Troppe ombre». Giuristi divisi
In attesa del pronunciamento della Consulta in merito alla legittimità costituzionale della legge sul voto all’estero chiesto dal Tribunale di Venezia in seguito al ricorso del consigliere regionale Antonio Guadagnini, i portavoce dei veneti nel mondo sono d’accordo: quella norma va cambiata.
Il voto per corrispondenza va cassato, a costo di tornare ai seggi nelle ambasciate. Spiega Guido Campagnolo, presidente dell’associazione «Trevisani nel mondo» (10mila soci in 155 nazioni): «E’ antipatico veder esercitare la democrazia con ogni genere di imbroglio. Ben venga il ritorno dei seggi nelle ambasciate e nei consolati, che però sono stati ridotti dal governo. Per esempio se un italiano vive in Uruguay deve andare a votare a Buenos Aires. Bisogna ricostruirne la rete e predisporre un adeguato controllo, oppure stringere accordi con i Paesi nei quali sono emigrati gli italiani per farli votare in posti sicuri e garantiti dal governo locale. Il voto per corrispondenza non piace a nessuno». Aggiunge il professor Marco Poggi, presidente dei «Vicentini nel mondo»: «Il voto all’estero riconosce un diritto sacrosanto, ma purtroppo attorno ad esso si sviluppano attività non sempre chiare. Si confondono interessi elettorali con altri. Bisognerebbe insediare i seggi in presìdi sicuri, per esempio gli istituti di cultura italiana o associazioni senza doppi fini, come la nostra. Si potrebbero creare gruppi di lavoro per rendere sicure le votazioni, ma prima va modificata la legge». Lo chiede da cinque anni Oscar De Bona, presidente dei «Bellunesi nel mondo» ed ex assessore regionale: «Abbiamo sottolineato l’importanza di cambiare le modalità del voto all’estero. La normativa accusa lacune che è necessario correggere con urgenza, per impedire ulteriori scorrettezze. Abbiamo ricevuto segnalazioni da Sudamerica, Germania, Svizzera: qualcuno raccoglie le schede e poi se le compila, altri le vendono da 1 a 5 euro l’una. Ci sono consolati onorari abbastanza diffusi, utilizziamoli per insediare i seggi, e lo stesso dicasi per le ambasciate, che dovrebbero garantire la regolarità delle operazioni». D’accordo Fabio Vitali, segretario dei «Padovani nel mondo»: «Sentendo i nostri connazionali in Svizzera, Australia, Stati Uniti, Canada e Argentina non sono emersi problemi individuali, però è vero che alcuni signori del voto mandano in giro i loro scagnozzi a imbrogliare le carte, quindi bisognerebbe che i candidati si controllassero tra loro». Obietta però il consigliere Leopoldo Marcolongo: «Non è utile tornare indietro, cioè ripristinare i seggi nei consolati, meglio il voto elettronico».
Ma che ne pensano i giuristi? «Se viene limitata la partecipazione al voto, necessariamente si paga un costo — avverte Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta —. In sostanza è meglio qualche problema di segretezza o assicurare il voto di tutti? Se io fossi ancora alla Consulta rigetterei l’ordinanza del giudice, perché il bilanciamento è ragionevole». Di parere contrario il professor Mario Bertolissi, docente di diritto costituzionale all’Università di Padova: «Le argomentazioni del ricorso mi sembrano valide. Questa legge è un colabrodo, non assicura né la segretezza né la correttezza del voto, quindi la possibilità di brogli e nefandezze è a portata di mano. In passato sulle questioni elettorali la Corte è sempre stata cauta, ritenendola materia la cui regolamentazione è demandata al legislatore. Poi però ha ritenuto di intervenire e quindi di cominciare ad occuparsi delle leggi elettorali per ovviare a lacune incostituzionali. Se le ravviserà nel caso in oggetto, penso che prenderà posizione, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni sul voto all’estero. Se non ci sono, la Consulta non si laverà le mani: rigetterà le eccezioni di illegittimità costituzionale ma indicherà al legislatore come rimediare ad eventuali storture».