Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Noi fatti fuori dalle liste» I sospetti degli Zaia boys sulle mire di Bitonci
Il governatore ai margini della campagna elettorale e le mosse di Da Re sui sindaci di Asco
Cresce
la tensione nel Carroccio dopo la composizione delle liste, in cui brillano le assenze dei fedelissimi del governatore Luca Zaia. «Siamo stati fatti fuori». I sospetti sulle mire di Massimo Bitonci.
Diceva Agatha ChriVENEZIA stie che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». E qua, di indizi, i leghisti più vicini al g ove r n a to r e L u c a Z a i a n e hanno messi in fila almeno una decina. C’è qualcosa che non va, nel Carroccio, e i sospetti puntano tutti su due colonnelli di primissimo piano, il segretario na
thional Gianantonio Da Re e il presidente del partito Massimo Bitonci. Autori, con Lorenzo Fontana, braccio destro di Matteo Salvini, delle liste che stanno facendo ribollire i profili social e le chat dei militanti.
Già all’indomani del deposito in Corte d’appello, molti avevano notato come tra i 40 e più nomi appannaggio del Carroccio non ne comparisse uno riferibile alla cerchia ristretta del governatore. Si tratta per lo più di sindaci ed ex sindaci della Pedemontana, a cavallo del Piave, e uno di loro, Domenico Presti di Arcade, ieri è andato giù piatto sui giornali: «Hanno eliminato gli uomini di Zaia». Il quale, fedele allo stile che si impone da una vita, si è ben guardato dal dire a Da Re e Bitonci: « P i a z z a te mi q u e s to q u i e quello lì» (circostanza che, come ogni volta, alimenta interrogativi profondi tra chi si professa «Zaia boy») ma questo non significa che abbia preso bene il fatto che le liste gli siano state mostrate solo un attimo prima che venissero portate in Corte d’appello, già chiuse. Alcuni colonnelli fanno notare che, se non altro per correttezza, se proprio non gli si voleva riservare una quota dei posti, quanto meno gli si poteva chiedere un parere sui nomi, un timbro. Altra curiosità (o indizio, per dirla con Agatha Christie): possibile che in vista della legislatura che la stessa Lega va sbandierando come «decisiva» per la tratt a t i va a uto nomista, non si proponga a Zaia di mandare a Roma un pugno di fedelissimi su cui costruire l’avanguardia venetista in parlamento? C’è chi, amaro, ricorda che quando nel 2013 le liste per le Politiche le fece Flavio Tosi, anche lì con molti «volti nuovi» e tanti fedelissimi, l’allora sindaco di Verona spiegò di non aver coinvolto Zaia perché «tocca al segretario politico nominare i parlamentari e al presidente della Regione governare il Veneto». Fu l’inizio della guerra atomica tra i due. E dunque, continuano i colonnelli, «abbiamo battagliato tanto per r i t r ova r c i e s a t t a men t e a l punto di prima?».
Ci sono malumori nella Treviso di Zaia (dove giusto ieri sera, al K3, s’è tenuto un incontro chiarificatore a cui il governatore non ha partecipato), a Vicenza, nell’Alta Padovana, nel Veneto Orientale. Nel frattempo, Zaia si è eclissato dalla campagna elettorale. Ovviamente prenderà parte a tutti gli appuntamenti ed i comizi che gli saranno richiesti, ma da una settimana, a spulciare l’Ansa, non si trova una sua dichiarazione sull’imminente chiamata al voto, fosse per la Lega o per «Salvini premier». Già non è stato candidato capolista nei collegi, circostanza che di sicuro avrebbe contribuito a tirare la volata al partito, possibile che in via Bellerio non lo s i vo g l i a u t i l i z z a r e c o me
frontman, dopo che al referendum per l’autonomia ha trascinato alle urne 2 milioni di veneti e a maggior ragione ora che è rimasto l’unico governatore del Carroccio? Forse non ha tutti i torti Zaia quando dice che i continui attestati di stima di Berlusconi e Forza Italia e i rumors sulla sua possibile nomina a Palazzo Chigi gli fanno più male che bene.
Proprio quanto accaduto con Roberto Maroni in Lombardia, tra l’altro, mette in allarme gli «Zaia boys», che prefigurano scenari foschi in v i s t a d e l l e Re g i o n a l i d e l 2020. Sotto la lente ci sono le mosse dell’ex sindaco di Padova Massimo Bitonci, a cui da tempo vengono attribuite ambizioni su Palazzo Balbi, sempre smentite dal diretto interessato. E però perché candidarsi nel listino proporzionale invece che nell’uninominale, altrettanto blindato? Sarà mica perché il primo, in caso di elezione, permette di dimettersi a piacimento facendo subentrare il primo dei non eletti, mentre il secondo rende l’opzione assai più difficile, costringendo il collegio di riferimento a tornare al voto? Dicono gli uomini di Bitonci che se lui se ne andrà da Roma prima del 2023 sarà solo per riprovarci a Padova. Quelli di Zaia replicano con sonore risate.
Vero è che in politica nulla è mai fatto per caso, tutto ha sempre un significato preciso. Anche per questo i leghisti si interrogano sulle scelte di Da Re, fino a lunedì amatissimo dalla base (oggi un po’ meno) e sui riflessi che queste avranno nella diatriba interna ad Asco Holding, la spa del gas controllata dalla Lega per il tramite dei suoi s i n d a c i ( i l p re s i d e n te d i Ascopiave, il braccio operativo, è Nicola Cecconato, Zaia boy di primordine). Da mesi, infatti, è in corso una guerra, scatenata dalla riforma Madia, sugli assetti societari e gli equilibri con i privati e i sindaci della Lega sono divisi sul da farsi. Risultato: quelli fedeli alla linea dura di Da Re, che predica lo scontro alla morte, come Sonia Fregolent, sono in lista per il parlamento . Quel l i d u b b i o s i o contrari, come Presti, no.
Ci si potrebbe aggiungere la candidatura della veronese Cinzia Bonfrisco («Un’ex socialista indagata per corruzione, ti rendi conto?») per i colori della Lega nelle Marche e a Roma, ma qui le chat esplodono e forse è meglio lasciar stare.
Il caso Bonfrisco L’ex forzista, indagata per corruzione, è candidata con la Lega nelle Marche e a Roma