Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LE TRE RAGIONI DELLA CRISI
Inumeri sono impietosi. E quale sofferenza. La scuola di Legge patavina, quella dei padri del diritto (Livio Paladin, Alberto Trabucchi, Giuseppe Bettiol), dove per anni si sono formate le migliori classi dirigenti del Paese, ridotta come una donna senza più fascino. In secca, anzi, come quei fiumi d’estate. Perché? Spiegarlo non è facile; e da tempo, per altro, sul tema ci si arrovella anche in rettorato. Ma oggi qualche filo lo si può tirare. Ci sono almeno tre ordini di ragioni che possono aiutare a capire. Il primo, generale, riguarda la crisi dell’avvocatura, che resta ancora il principale sbocco del corso di Giurisprudenza: troppi avvocati e pagati troppo poco (specie all’inizio della carriera). Per capirsi: quando nel 1921 della questione già si lamentava il grande Pietro Calamandrei le toghe in Italia erano in tutto 25mila. Oggi sono 312.663 (di cui 14.768 solo in Veneto). Una professione satura, quindi. Ma vi è un secondo ordine di ragioni, più specifico. A Padova una volta ci si iscriveva (anche) solo per il prestigio. Il «nome» evocava già tutto: tradizione, severità (fin pure al parossismo), studio matto e disperatissimo. Ma poi, sottovalutati, sono intervenuti tre fattori che hanno cambiato le carte in tavola: il tempo, i voti, le classifiche.
In un mercato del lavoro sempre più liquido e vorace, gli studenti hanno iniziato a capire che impiegarci troppo per laurearsi non pagava (Legge a Padova, per velocità di conseguimento del titolo, è al sessantottesimo posto su 78 atenei!). Discorso analogo per i voti: sopravvivendo da un lato il valore legale del titolo di studio e, dall’altro, ampliandosi all’estero l’orizzonte professionale, uscire dal Bo con grandi abbracci ma voti bassi si è visto che a conti fatti non valeva (ai concorsi valgono i numeri; e lo stesso, per dire, a Londra). E si aggiunga allora l’elemento delle sempre più considerate graduatorie di merito, che negli ultimi tempi hanno «punito» la Scuola di Padova (oggi il Censis la pone addirittura al ventunesimo posto, dietro pure a Foggia). Il terzo ordine di ragioni, infine, riguarda l’«hardware»: le materie e le strutture. Dal primo punto di vista è evidente come ci sia stata una certa fatica ad aggiornare i percorsi di studio alle nuove sfide: in questo senso ne hanno tratto beneficio, drenando iscrizioni, alcune delle realtà «confinanti», come Trento, che per esempio ha saputo puntare molto sull’internazionalizzazione. Dal secondo punto di vista, invece, valga solo che aule e servizi sono praticamente gli stessi del secolo scorso. Ma quanto si potrà continuare?