Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«L’isola senza memoria», Villalta e la storia nascosta
Lo scrittore friulano racconta la vicenda di Goli Otok, dove furono deportati trentamila oppositori del regime comunista jugoslavo. «In questi grandi drammi della storia non esiste una lettura di destra o di sinistra»
Èuna storia che parte da lontano, quella di Goli Otok, isola della Croazia. Inizia nel 1948 e finisce nel 1956. Tre anni dopo, in un paesino del Friuli al confine con il Veneto, nasce lo scrittore e poeta Gian Mario Villalta. In quel mondo in trasformazione, nello scrittore bambino, tra «discorsi misteriosi», frasi sussurrate dai «grandi», reticenze e silenzi, sboccia una forma di «conoscenza» di una realtà «altra», «incomprensibile e deforme». «Dei campi di concentramento, delle foibe, di tutti gli orrori della guerra recente, di tutto ciò che la guerra aveva prodotto...». Molti anni dopo, in Gian Mario Villalta adulto, questa memoria inconsapevole, «trasmessa con i gesti, le parole, il cibo quotidiano, le paure e le speranze» diventa la molla che lo porta a interrogarsi su Goli Otok, l’isola sinonimo di morte, dove vennero deportati gli oppositori al regime di Tito. Luogo dell’orrore con trentamila detenuti politici e quattromila morti per torture o pestaggi. Lì finiva chi voleva rimanere fedele al Partito Comunista sovietico e non accettava il distacco di Tito dalla visione del socialismo Urss. Nasce così L’isola senza memoria (Laterza editore, 111 pagine, 14 euro), il nuovo libro di Villalta. Una sofferta analisi sulle tracce di un passato che in molti, troppi, hanno tentato di cancellare.
Villalta, che è anche insegnante e direttore di Pordenonelegge, uno dei festival letterari più importanti in Italia, su Goli Otok scava, rielabora, s’interroga, continua per anni. Appunti, pensieri, ricerche, testimonianze. Tanto materiale. Scrive. Cancella, elimina, butta. Riscrive. Fino alla versione definitiva che diventa libro. Goli Otok, pagina nera del comunismo viene narrata senza ipocrisie.
«Su questi grandi drammi della storia non esiste una lettura di destra o di sinistra - dice Gian Mario Villalta -. In quegli anni anche la violenza era considerata parte della politica. Va rielaborata una narrazione con nuovi ragionamenti».
Guida nel dramma di quel campo di rieducazione politica, è Ligio Zannini, poeta di Rovigno, per tre anni prigioniero nell’isola. La sua conoscenza di ciò che è accaduto, diventa il bandolo di quel filo della memoria che lo scrittore tenta di riannodare. Un altro faro è il libro di Giacomo Scotti Il gulag in mezzo al mare.
Alla fine, Villalta pone molti interrogativi, la risposta è in parte nella narrazione, in parte nella riflessione personale che suscita nel lettore.
«Quando inizia veramente la responsabilità per la verità del proprio tempo?». E ancora: «C’è parallelismo tra coscienza individuale e coscienza storica?». «Entro quale distanza temporale si può ancora giudicare attivamente la storia? C’è un tempo massimo?». Scrive Villalta: «C’è una verità della libertà che solo l’assediato conosce, una verità dell’altro che solo l’ostaggio comprende. Il viaggio a Goli Otok è stato l’assedio che mi ha tenuto in ostaggio e mi tiene ancora in un viluppo di domande che riguardavano la provenienza della mia attuale scarsa capacità di giudizio sugli eventi della storia e della politica e, allo stesso tempo, la tenacia con la quale sono convinto che un giudizio sia necessario». Ma l’ossessione che ha portato lo scrittore a immergersi in un tema così tormentato è anche la questione che i figli, i nipoti, i conoscenti di quelli coinvolti, le generazioni nate nel secondo Dopoguerra, sentono di non essere mai stati veramente messi alla prova dalla Storia. «Di fronte al fucile spianato, alla privazione di ogni umanità, io cosa avrei fatto?», si chiede Villalta. Arrivare alla fine di L’isola senza memoria significa trovare delle risposte. Soprattutto dentro di sé.