Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Orsoni salvato per 2 settimane «Ma le buste le ha ricevute»
Le motivazioni: l’ex sindaco prese i soldi da Sutto, decisiva la prescrizione
VENEZIA Giorgio Orsoni ha ricevuto le buste di denaro dal segretario di Giovanni Mazza- curati, Federico Sutto, ma il reato si è prescritto l’1 settem- bre 2017, due settimane prima della sentenza Mose. Nelle motivazioni confermate le ac- cuse a Maria Giovanna Piva: «Era a libro paga di Mazzacu- rati».
VENEZIA «I pm dovrebbero stare zitti, Sutto ha parlato solo quando è stato “ricattato” per patteggiare. La sua testimonianza è stata palesemente montata, concordata». Così, il giorno dopo la lettura della sentenza, aveva parlato Giorgio Orsoni, l’ex sindaco di Venezia assolto nel processo Mose dall’accusa di finanziamento illecito della campagna elettorale, in parte per non aver commesso il fatto e in parte per prescrizione. Parole dure, che anche alcune persone a lui vicine gli avevano sconsigliato. Ieri, con il deposito delle 847 pagine della sentenza, è emersa la «verità» dei giudici sulla posizione di Orsoni e sulle buste di soldi a lui consegnate da Federico Sutto, segretario dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, all’inizio del 2010. Una verità che ricalca l’accusa dei pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. «Le consegne sono avvenute - scrivono i giudici Stefano Manduzio, Andrea Battistuzzi e Fabio Moretti - la prima a fine gennaio, la seconda dopo alcune settimane e una terza a fine marzo».
Secondo i giudici, dunque, la testimonianza di Sutto, che con dovizia di particolari ha descritto in aula le tre dazioni per un totale di 250 mila euro, è stata più che credibile. Ma non è tutto: nelle motivazioni si contestualizza la vicenda con la richiesta – ammessa da Orsoni stesso – di aiuto a Mazzacurati (e ad altri), la necessità di fondi ulteriori di cui hanno parlato gli onorevoli Pd Davide Zoggia e Michele Mognato, le testimonianze di vertici del Consorzio come Piergiorgio Baita e Pio Savioli sulla volontà di Mazzacurati di aiutare Orsoni e soprattutto il memoriale dell’ex «Doge» che fin da subito, nel luglio 2013, parla di soldi in nero al futuro sindaco. Si cita poi la presenza del numero di Sutto nella rubrica dell’ex sindaco, poi cancellato. A «salvare» Orsoni è stata dunque la prescrizione. Sutto non ha infatti saputo dire il giorno esatto in cui gli ha portato i soldi e dunque, per il principio del «favore» all’imputato, i giudici hanno retrodatato la consegna all’1 marzo 2010: con i sette anni e mezzo del codice si arriva all’1 settembre 2017, ma la sentenza è stata pronunciata il 14, dunque oltre i termini. Per sole due settimane. Il tribunale ha invece ritenuto che non ci sia stata la prova che, quanto ai 110 mila euro in bianco ricevuti dalle imprese del Cvn, Orsoni fosse consapevole del meccanismo delle false fatture, mentre invece lo conosceva bene l'imprenditore Nicola Falconi, uno dei finanziatori, che infatti è stato condannato per quel reato.
Non esulterà nemmeno Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle Acque, anche lei assolta per prescrizione dall’accusa di essere stata a libro paga di Mazzacurati fino a quando fu spostata nel 2008. «Era il minimo. Io non ho fatto nulla ma tre anni non me li ridà indietro nessuno», aveva commentato in aula. I giudici però scrivono che fino al 2008 l’istruttoria ha dimostrato la corruzione. Le hanno invece dato ragione sui collaudi dell’Ospedale dell’Angelo, che secondo Baita erano una ricompensa a posteriori: per i giudici non c’è prova di questo legame. «Questo dimostra che non ci eravamo costituiti contro degli innocenti», dice l’avvocato Luigi Ravagnan, che rappresentava il Comune di Venezia.
Condannati l’ex ministro, poi deceduto, Altero Matteoli e l’imprenditore Erasmo Cinque, Falconi, l’avvocato Corrado Crialese, il tribunale aveva invece assolto anche l’architetto Danilo Turato e l’ex eurodeputata Lia Sartori, accusata anche lei di aver ricevuto fondi in nero da Mazzacurati. Di quest’ultima i giudici, accogliendo la tesi del suo avvocato Alessandro Moscatelli, scrivono che «non vi è riscontro nell’affermazione del coindagato e pertanto tali affermazioni non sono suscettibili di fondare la declaratoria di responsabilità penale».