Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
E adesso il prof picchiato pensa di cambiare scuola
Aperta, inclusiva, didatticamente all’avanguardia. I professori si fanno un punto d’onore a insegnarvici. Alla scuola media Casteller di Paese con il Pi-greco non si calcolano solo le circonferenze ma anche il mese (marzo) e il giorno (il 14) in cui i migliori studenti di matematica saranno premiati con una gita a Venezia. Vi si svolgono prove di competenza, si celebrano i «giochi delle scienze sperimentali». La media Casteller di Paese splende di dottrina e di impegno pedagogico. Non era previsto che vi risuonassero schiaffoni, non che il corpo insegnate si dividesse.
PAESEA (TREVISO) Aperta, inclusiva, didatticamente all’avanguardia. I professori si fanno un punto d’onore a insegnarvici. Alla scuola media Casteller di Paese, Treviso, con il Pigreco non si calcolano solo le circonferenze ma anche il mese (marzo) e il giorno (il 14) in cui i migliori studenti di matematica saranno premiati con una gita a Venezia. Vi si svolgono prove di competenza, si celebrano i «giochi delle scienze sperimentali». La media Casteller di Paese splende di dottrina e di impegno pedagogico.
Non era previsto che vi risuonassero schiaffoni, non che il corpo insegnante si dividesse, tantomeno che un insegnante meditasse di lasciare l’incarico. «Non mi sento tutelato, mi sono ritrovato solo e anche la solidarietà è arrivata tardi, solo una settimana fa con una lettera appesa in bacheca nella quale si deprecava l’aggressione di cui sono stato vittima ma non l’atteggiamento tenuto nei miei confronti dai vertici della scuola». Giuseppe Falsone, professore di matematica, ha sporto denuncia penale contro un genitore di etnia Rom accusandolo di violenza privata, minacce, interruzione di pubblico ufficio e resistenza a pubblico ufficiale. «Mi devo tutelare - spiega - e non solo sul piano giudiziario, accanto a questo vi sono aspetti amministrativi che sto valutando».
Se non fosse stato un Rom a schiaffeggiarlo forse non saremmo stati qui a parlarne, ma è grazie a un Rom che, con il caso, è venuto fuori il nervo scoperto del rapporto irrisolto tra integrazione e risultati e il confine conteso del conflitto in corso tra insegnanti e genitori sui limiti della reciproca autorità e su come si concili il ministero dell’insegnamento con i diritti genitoriali.
Sono passati due mesi dagli schiaffoni - era il 23 dicembre dell’anno scorso - abbastanza per sedimentare le versioni che non divergono di molto se non su un particolare: «Io non ho schiaffeggiato nessuno – protesta il padre trentottenne dell’alunno al centro del caso - a colpire il professor Falsone con uno schiaffo da dietro è stato mio figlio maggiore, io l’ho solo spinto. E’ così che spingi il mio ragazzo? Vieni fuori, fallo con me - gli ho detto – provaci con un adulto».
L’uomo ha quattro figli, tutti alunni o ex alunni della Casteller con alterni risultati, il più grande, compie 16 anni il prossimo mese ed è già un armadio. Il più piccolo, tornava ieri da scuola dove frequenta la seconda ed è il solo protagonista che non si può interrogare.
«Dovrebbe fare la terza ma è stato bocciato – spiega il padre – lui è timido, si trovava bene con i vecchi compagni e, ora che non li ha più, fatica a legare con i nuovi. Quel giorno, il 21 dicembre, doveva lasciare l’aula assieme agli altri e uscire per la ricreazione, ma aveva freddo, portava i jeans strappati come va di moda adesso e non voleva uscire. Il professor Falsone, che non è nemmeno un suo insegnante, gli ha detto: contro fino a tre e tu esci. Ha detto uno e non è arrivato neanche al tre che lo ha preso per le spalle e lo ha sbattuto fuori. Non si toccano i miei figli, io - per come sono - litigo anche con mia moglie quando lo fa. Il ragazzo si era fatto pipì nei pantaloni per la paura, è venuto a casa traumatizzato tanto che non voleva più tornare a scuola. Aveva gli incubi di notte e sognava il professor Falsone che lo cacciava». Due giorni dopo, il 23, i famigliari erano a scuola a saldare i conti con Falsone, papà, mamma, il piccolo e il fratello più grande.
«Non posso certo scordarmeli – ricorda il professore di matematica – quel giorno il padre mi ha dato un ceffone che mi ha fatto volare via gli occhiali». Non era mai accaduta una cosa del genere alla Casteller. Lamentele dei genitori, proteste e incomprensioni sì, ma mai tali da far indietreggiare la preside, professoressa Paola Rizzo, dalla linea che da sempre si è data: sedare e sopire, tenere per quanto possibile le grane dentro il perimetro delle mura scolastiche. Un professore si era offerto di mediare e persino il comandante dei carabinieri aveva pensato ad una conciliazione in caserma. La conciliazione non c’è stata e la storia è uscita dalle mura scolastiche nonostante gli sforzi della preside di tenerla dentro, o proprio per questo forse, conseguenza di un rapporto irrisolto tra le sacrosante ragioni di tutela dall’insegnate, quelle della riservatezza e le altre - non ultime – della tutela di un bambino sul quale poteva essere stata esercitata una coercizione con metodi inopportuni.
Intanto i giornali uscivano, il sindaco di Paese – Francesco Pietrobon (Lega) – chiedeva misure severe contro il Rom e la preside di ritorno lo invitava a farsi gli affari suoi. «C’è qualcosa che non va in quella scuola», se ne è uscita l’assessora all’insegnamento Katia Uberti mentre la fila di quelli che «c’è qualcosa che non va» si allungava. Non andava all’assessore regionale Elena Donazzan che ha annunciato un’ispezione. E meno che meno va al professor Falsone, che ha scritto una lettera alla ministra dell’istruzione Fedeli in cui chiede di essere tutelato intanto che medita il trasferimento.