Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Ex Popolari, i crediti «cattivi» passano alla società pubblica
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha firmato dopo diversi mesi di attesa il decreto che consente la cessione alla Società per la ge- stione attivi del Tesoro - in sigla Sga, la «bad bank» - di 17,8 miliardi di crediti deteriorati di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza.
«O maggio a Gino Rossi», la mostra al Museo Bailo di Treviso curata da Marco Goldin e aperta fino al 3 giugno, è una occasione, ai settanta anni dalla morte del pittore veneziano che trascorse gli ultimi ventun’anni di vita nella reclusione degli ospedali psichiatrici, di dare giusta divulgazione alla materia delle poche opere autentiche di Rossi (è tutto uno sbocciare di dubbi ritrovamenti che spuntano da cassoni e armadi nelle soffitte venete), un centinaio o poco di più, compresi i disegni. Un corpus esiguo ma di novità e forza tali da costituire una pietra miliare nella storia dell’arte italiana, che molto spiega nello sviluppo delle neoavanguardie.
La mostra testimonia della sua ricerca, sempre autonomo e libero nel gesto pittorico e nel pensiero: in esposizione al Bailo accanto alle 10 opere di Rossi della collezione permanente, 8 prestiti da privati, di grande significato nella maturazione della poetica pittorica di Rossi.
Colto e insofferente, il giovane artista veneziano, lo sguardo rivolto alle novità oltreconfine, si distingue dai contemporanei scegliendo non la Secessione e il fermento di marca viennese o monacense, cercando la forma dell’immagine, nella pittura francese. I suoi viaggi tra il 1906 e il 1909 testimoniano il maturare di una vibrazione nuova che lo distingue e separa dal passo dei capesarini intorno alla figura di Barbantini in quel Palazzo Pesaro che Arturo Martini definirà «il primo movimento (artistico) vero in Italia, precursore dei movimenti moderni».
A Parigi scopre Gauguin, ed è passione immediata e, ancora, i Fauves, i Nabis e quel loro rapporto furente con il colore, poi la Bretagna. E la sezione dei paesaggi esposti al Bailo ci documenta su quella rielaborazione stilistica e cromatica, fatta di piccole aree definite da colori onirici, senza disegno: la deliziosa
Parrocchia di Pagnano, ad esempio, così come la veduta dei colli di Asolo nella collezione del Bailo. Dopo la Bretagna, dove dipinge cose che non verranno mai esposte lui vivente, Gino Rossi si stabilisce a Burano con la moglie. Il tempo di Burano si rivelerà l’età d’oro nella tragica esistenza dell’artista: produce opere che condensano le esperienze parigine e bretoni nella definizione di uno stile assolutamente innovativo, dal tratto rapido, essenziale. Sono le vedute sintetiche di villaggi sul mare, sono le celebri cittadelle distese nell’azzurro (tutte da godere nella mostra di Treviso). È il momento dei paesaggi dalle forme definite nei colori complementari che mostrano l’ardimento di visioni radicalmente altre rispetto alla tradizione paesaggistica, alla scuola dei Ciardi. Espone a Ca’ Pesaro tre opere che saranno per lui – e per l’arte dopo di lui- capitali: Il
muto, Case a Burano e Fanciulla del fiore. Di queste, le prime due, ammalianti, sono di nuovo insieme al Bailo: Barbantini, riconosce l’eccellenza e la novità di quelle opere ma a Rossi - come ebbe a scrivere il pittore stesso - non interessava la fama, bensì il riconoscimento del valore della sua ricerca.
Percorre una strada solitaria, Rossi, è un precursore consapevole: espone con Martini, altro artista scomodo, si schiera contro l’ortodossia in nome di una dura purezza dell’arte. Parla di architettura dell’immagine, ritrae visi di umili, depredati della speranza, i colori si fanno rigorosi, linee cupe segnano i tratti di fisionomie non descrittive, non concilianti. E l’intento della «espansione» di Goldin alla collezione permanente del Bailo vuole esattamente sottolineare la stretta relazione artistica che intercorre tra Rossi e Martini: la grande raccolta delle sculture martiniane dialoga fittamente con i ritratti di Gino Rossi. Il loro sodalizio si interrompe quando venti di guerra agitano il Paese e travolgono il pittore – vedi le pagine mirabili di Comisso su Rossi soldato in I due compagni. Dopo la prigionia successiva a Caporetto, Rossi tornerà per sempre cambiato e con lui la sua arte, più rarefatta, più composta, più cezanniana.
Sono le poche opere dal 1919 al 1926 che dicono di un lavoro compositivo più spento nel colore, più strutturato nelle nature morte, nelle piccole vedute, mentre enormi difficoltà economiche ed esistenziali dilatano nella mente una falla incolmabile, un rovello rabbioso che lo condurrà nel definitivo abisso dei labirinti manicomiali.