Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
INFRASTRUTTURE IL DOPPIO ERRORE
E’stato presentato a Roma qualche giorno fa il volume (A. Bergantino et al., Connettere
l’Italia) che documenta «visione del futuro, programmi, progetti e risorse, investite e impegnate» che hanno segnato i tre anni di gestione Delrio del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Esercizio esemplare di rendicontazione democratica dell’attività di un ministero che ogni giorno si occupa sia della produzione delle infrastrutture sia della gestione del loro sottoinsieme rilevante per la mobilità di persone e merci. Il libro documenta il tentativo di cambiare - ancora una volta - le regole del gioco (nuovo codice degli appalti), di «connettere l’Italia», rivedendo il parco progetti infrastrutturali prioritari (project review) e di conquistarsi, nonostante i vincoli di finanza pubblica, quote crescenti di risorse necessarie a rendere più sostenibile il trasporto in Italia: con la «cura del ferro» (più treno meno strada) e con la «cura dell’acqua» (più trasporto marittimo). Moltissime cose buone. Tessere eccellenti, che però si combinano in un mosaico che non lo è altrettanto, per i difetti tipici di una casa costruita dal tetto, anziché dalle fondamenta, per l’urgenza, si diceva, di far ripartire i cantieri e, non si diceva, di esercitare una sorta di «sovranismo di fatto», poi rimasto orfano della mancata approvazione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. E’ un dato di fatto che i cantieri non siano ripartiti e che il nuovo codice degli appalti si sia dimostrato intempestivo e sovraccaricato di obiettivi. Intempestivo, perché il cambio di cavalli - la sostituzione delle vecchie regole - in mezzo al guado non poteva non rallentare l’attraversamento del fiume della «grande recessione». Cavalli del nuovo codice ai quali è stato poi chiesto di caricarsi del compito sia di semplificare il procedimento sia di farlo divenire più impermeabile alla corruzione: obiettivi sacrosanti, ma difficilmente perseguibili confondendo nell’Anac la regolazione degli appalti con la lotta al malaffare. Il risultato è che oggi ogni appalto viene trattato come fonte potenziale di corruttela da combattere eliminando ogni discrezionalità anche «da buon padre di famiglia» delle stazioni appaltanti comunque con appesantimenti burocratici. Urge correzione radicale. Ma, passando dal metodo al merito, apprezzabile il voler «connettere l’Italia». Ma «quale Italia?» e «quali connessioni?» Domande alle quali si continua a dare risposte - priorità infrastrutturali - più adatte all’Italia di ieri che a quella proiettata al 2030.
L’Italia di oggi produce ed esporta più dal Nordest che dal Nordovest. Ha un Mezzogiorno che si sta trasformando da periferia d’Europa a centro del Mediterraneo. Esporta ormai più nel resto del mondo che nella Unione europea.
Una Ue che ha comunque spostato ad Est e nei Balcani il baricentro dei suoi mercati in espansione e un resto del mondo fatto di Mediterraneo orientale e mar Nero e, soprattutto, di centralità asiatica, oggi, e africana, domani.
Un quadro nel quale se la «geografia è destino», come ama ripetere Graziano Delrio, l’Italia ha bisogno di liberarsi del freno della obsolescenza geografica delle sue reti di trasporto, quelle costruite quando il motore nazionale stava a Nordovest, il Mezzogiorno era periferia da recuperare all’Europa, e l’America del Nord era il mercato che dominava il mondo. E di farlo aggiungendo la funzione «globale» di catena logistica privilegiata nel collegare l’Europa con l’oltre Suez asiatico.
Oggi occorrono più porti che valichi, più Adriatico che Tirreno, più manifattura portocentrica meridionale rivolta al Mediterraneo. Magari valorizzando la disponibilità cinese a puntare logisticamente sull’Italia a partire da quella Venezia che continuano ostinatamente ad indicare come terminale occidentale della via della Seta. Di tutto questo vi è scarsa traccia in una lista di priorità infrastrutturali nata da un esercizio, di fatto, di «arbitrio del principe» corroborato dall’appoggio corporativo degli incumbent (i gestori dei nodi e delle reti di oggi) e applicato a una «project review» delle proposte di ieri, non preceduta da una «planning review» (revisione di piani e programmi). Che pure il nuovo codice degli appalti aveva immaginato, rimettendo a fondamenta di ogni processo strategico quel Piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che la stagione della «legge obiettivo«» aveva depotenziato.
Incongruenze che viste dal Nordest, ma anche dal nuovo «triangolo industriale» (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto) appaiono macroscopiche. Da correggere con il PGTL, promesso ma non avviato: il solo «luogo» nel quale il sistema Paese – e il Nordest in prima fila - avrebbe potuto (potrà?) far emergere le sue reali necessità e dettare le linee per un adeguamento radicale della rete (archi e nodi)nazionale delle infrastrutture di trasporto capace di superare l’obsolescenza tecnica e geografica che la affligge.
Il prossimo round di politica delle infrastrutture di trasporto deve partire da qui.