Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Cariveneto fusa in Intesa il 23 luglio E l’ultimo bilancio chiude in rosso
Addio al sogno della grande cassa regionale: con l’integrazione risparmi di 7 milioni
Sarà fusa in Intesa Sanpaolo il 23 luglio, Cassa di risparmio del Veneto, che chiude in «rosso» il suo ultimo bilancio. Entra nel vivo, con il sì di Bce e la pubblicazione, ieri, del piano di fusione, il secondo round di razionalizzazioni in Veneto per Intesa, dopo aver portato a dicembre, non senza problemi, le filiali ereditate da Veneto Banca e Bpvi sulla propria rete informatica. Ora tocca a Cariveneto, la spa regionale con sede a Padova che lunedì 23 luglio, con la fusione operativa nella capogruppo, cesserà di esistere come entità giuridica. Di fatto senza riflessi operativi, visto che il sistema informatico è già quello di Intesa e che da tempo il cda si era trovato di fatto a ratificare le decisioni di strutture che non controllava.
Prospettiva lontanissima rispetto al progetto lanciato dieci anni fa. Era il 25 settembre 2008, un anno dopo la creazione di Intesa Sanpaolo, quando l’amministratore delegato, Corrado Passera, lanciava a Padova la nuova banca. Partita il 29 settembre, dopo il conferimento degli sportelli Intesa ex Cattolica del Veneto nella Cassa di risparmio di Padova e Rovigo di Sanpaolo Imi- Venezia esclusa, in ossequio alla divisioni di campanile -, sotto la presidenza dell’ex uomo forte di Cariparo, Orazio Rossi, e la direzione generale di Rinaldo Panzarini. «Nasce la più grande banca regionale italiana», era lo slogan. «Sarà il modello per tutti i processi di integrazione nel gruppo», disse Passera. L’idea alla base, sostenuta con forza dalla Fondazione Cariparo di Antonio Finotti, era di creare, sotto il cappello del nuovo colosso bancario, la tanto agognata cassa di risparmio su scala regionale, che le banche locali non erano riuscite a costruire da sole, creando un polo veneto che riequilibrasse il peso di Milano e Torino.
Da allora è cambiato tutto. In mezzo è passata una crisi epocale che ha spazzato via, a colpi di crediti in sofferenza e margini d’interesse azzerati, le popolari venete, i sogni di gigantismo e i giochi di potere bancari, facendo del taglio costi la vera linea-guida degli ultimi anni, spinta poi da Bce.
Quanto la crisi abbia pesato lo dicono i numeri. I 540 sportelli di allora, con 4.600 dipendenti, sono scesi a 297 con 3.296; la raccolta totale, a 32,1 miliardi, è ora, secondo il bilancio 2017, a 30, mentre gli impieghi sono scesi da 19,2 miliardi a 12,4, o a 15,9 se si tiene conto delle attività sul territorio delle altre società (da Mediocredito ad Imi).
E il fronte costi non è di poco rilievo. Nelle cinque pagine in cui si risolve la relazione di fusione, l’unico numero che balza all’occhio sono i risparmi per 6,8 milioni l’anno su costi societari, amministrativi e servizi in outsourcing.
Risparmi non irrilevanti, se si guarda al bilancio 2017, l’ultimo di Cariveneto, che dopo aver garantito 21 milioni di utili alla capogruppo sul 2016, ha chiuso in perdita di 1,2 milioni l’anno scorso. A causa di 30 milioni di rettifiche sui crediti in più del 2016 (183 invece di 151), su cui si scaricano anche gli effetti, per dire, delle perdite dei grandi clienti fuori dal controllo della direzione territoriale. E che non rende giustizia a un anno commerciale brillante: la raccolta diretta sale del 4%, da 13,3 a 13,8 miliardi, l’indiretta di quasi un miliardo, da 15,18 a 16,13 (+6,3%), il risparmio gestito accelera da 11,2 a 12 miliardi. Gli impieghi per 12,4 miliardi in leggero calo (ma i mutui ipotecari erogati sono stati per 772 milioni, +7%), accelerano però con i prestiti per 3,5 miliardi delle altre società, che portano il totale a 15,9, +1%.
Sui ricavi, i 40 milioni di margine d’interesse in meno (da 290 a 250) per la caduta dei tassi vengono riequilibrati solo per metà dai 20 milioni in più (da 279 a 300) di commissioni, a cui si aggiungono altri 10 milioni di risparmi. Ma il peso delle rettifiche sui crediti e i 13,5 milioni di contributi per i salvataggi bancari mandano in rosso il bilancio.
Chiusa Cariveneto, il cda sarà sostituito da un consiglio territoriale consultivo, mentre il marchio commerciale sopravviverà per un po’. Sul tappeto resta il passaggio delle ulteriori chiusure delle filiali ereditate da Bpvi e Veneto Banca, 327 ora secondo il piano di fusione. Passo finale per razionalizzare il primato di Intesa su scala regionale, con quote del 24,4% sugli impieghi e del 24,6% sulla raccolta.