Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Resto qui», la storia nemica e il racconto di una famiglia
Per vedere che cosa sia mai successo all’Italia durante il secolo scorso Marco Balzano con Resto qui (Einaudi, pp. 184, € 18) è salito il più a nord possibile, fin dove si mescolano le lingue e si finisce per non capirsi neppure tra compaesani, mentre ricompaiono le frontiere a dividere le Alpi tra italiani e austriaci.
Dall’alto, ha pensato, si abbraccia con lo sguardo uno scenario ampio e si riesce, quindi, a leggerne con maggior chiarezza l’insieme e forse anche a riconoscere le responsabilità di ciascuno, finalmente non traditi dai sentimenti. La storia di Erich e Trina ci porta in Val Venosta, in cima all’Adige, lungo la statale 40 che arriva dritta dritta in Austria, e qui hanno formato una famiglia con due figli -una femmina e un maschioe tenuto fede ai semplici valori di una radicata tradizione.
Eppure il delirio di potenza delle ideologie totalitarie, che sconvolse l’Europa, trovò il modo di arrivare fin lassù, travolgendo valori e comportamenti che sembravano incrollabili. Balzano non affronta lo scontro ideologico nell’astrattezza dei suoi propositi ordinativi, piuttosto ne seleziona gli esiti nella sorprendente imprevedibilità dell’esperienza.
Avviene così che la figlia resti sedotta da una coppia di zii venuti dalla Germania del Terzo Reich, i quali la porteranno con sé a condividere i sogni di gloria di una Germania über alles e che il figlio, tradendo i suggerimenti genitoriali, venga educato dalla scuola a farsi esecutore degli ordini superiori, diventando un efficiente ingranaggio della organizzazione criminale del potere. Rimasti soli i genitori dovranno prendere atto che il mondo, trasformato dalla dirompente modernizzazione, è diventato una comunità ostile della quale non vorrebbero far parte e decidono di allontanarsene per quanto possibile, isolandosi tra le montagne.
Erich, che ha dovuto partire per la guerra, appena ferito e rimandato a casa in convalescenza abbandona l’esercito per darsi alla macchia e nascondere negli anfratti della memoria le vicende dei figli, come se più non gli appartenessero, e Trina lo accompagna fedele.
Eppure la storia non è ancora finita e l’illusione di stare lontani dai guai si rivelerà presto tale: a Curon in val Venosta già prima della guerra era stata progettata una diga per trasformare in lago un grande invaso e sfruttarne le acque con una centrale idroelettrica, che al momento della ricostruzione l’idea viene riesumata.
Certo la «voglia di rinascere» oppone resistenza alle minacce che incombono, ma «non pensarci più» voleva dire distogliere lo sguardo dalle contraddizioni del presente, invece i lavori procedono inesorabili e coinvolgono quel poco di terra su cui avevano casa, stalla e falegnameria, e mentre si avvicina «a ridosso delle case», la diga cresce «sarà la più grande d’Europa» - lasciando sommergere dalle acque interi paesi.
«Un paesaggio devastato pensa Trina - non può rinascere più» e di nuovo insieme a Erich si sente sopraffatta dalla violenza di una storia nemica: «in quella primavera del 1947 la diga era dietro di noi e non smetteva di inseguirci», si sarebbe dovuto prender su e andarsene lontano per non vedere, per non sapere, ma dove trovare la forza per ricominciare daccapo avendo intanto perduto tutto.
Il paese un pezzo alla volta venne distrutto e sommerso e alla fine «è rimasta solo la torre del campanile» che domina solitaria «come il busto di un naufrago sull’acqua increspata» del lago di Resia, che come una pozzanghera rallenta il corso dell’Adige.
Del moderno dal nord dell’Italia, dove le montagne difendono una natura aspra, si coglie il volto catastrofico che autorizza a combatterlo come il peggiore dei malanni, Balzano qui si ferma, soddisfatto che la sua storia offra solide conferme a chi ne diffida, lasciando così la storia a metà, perché intanto la stagione dei totalitarismi è finita e altre speranze si sono accese.