Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il sistema del vetro in nero Blitz della Finanza a Murano
Trenta milioni di merce non dichiarata al fisco, otto aziende sotto accusa. Sequestrati lingotti d’oro
Raffica di perquisizioni e sequestri. Dopo una lun- ga inchiesta la Guardia di Fi- nanza ha scoperto una maxi evasione nelle aziende del ve- tro di Murano. Ben otto avrebbero venduto «in nero» quasi 30 milioni di euro di oggetti in vetro, evadendo 5 milioni e mezzo di imposte. Il «trucco» del Pos».
Quel glorioso settore, il cui nome ha fatto il giro del mondo, da anni è in crisi tra fallimenti, ex fornaci trasformate in alberghi, e leggi ambientali sempre più stringenti. E oggi meno di un quarto dei 5 mila addetti degli anni Sessanta lavora a Murano, trasformata in isola del vetro dopo un paio di editti della Serenissima di fine XIII secolo per paura di un incendio nel cuore della città. In questo contesto drammatico, però, qualcuno in questi anni ha fatto il «furbetto», o per lo meno questo sembra raccontare la lunga inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dalla procura di Venezia, svelata ieri con una raffica di perquisizioni e sequestri avallati dal gip: dal 2013 all’anno scorso, infatti, ben 8 aziende avrebbero venduto «in nero» quasi 30 milioni di euro di oggetti in vetro, evadendo 5 milioni e mezzo di imposte. Ora però le fiamme gialle, il procuratore aggiunto Stefano Ancilotto e il pm Stefano Buccini hanno presentato il conto, ottenendo dal gip David Calabria un maxi-sequestro preventivo da 6 milioni e 845 mila euro, con l’obiettivo finale di confiscare le somme e restituirle nelle casse dello Stato.
Il sistema era semplice, ma ingegnoso: le vendite di vetri ai turisti stranieri avvenivano con un Pos «fasullo», che in realtà non era intestato all’azienda, ma a un cambiavalute che si prestava all’operazione e poi restituiva agli imprenditori i soldi in nero, tenendosi il 5 per cento come «commissione». Sul registro degli indagati sono finiti in 10, ovvero il cambiavalute Claudio Pellarin, 63enne di Mestre con ufficio in centro storico, e i nove titolari delle otto aziende che avrebbero usato il «trucchetto del Pos», tutti veneziani e tutti accusati di frode fiscale: il 47enne Massimiliano Schiavon (Schiavon Massimiliano Art Team), il 60enne Michele Zampedri (Vetreria Artistica Vivarini), la 45enne Giorgia Schiavon (Vetreria Artistica Reno Schiavon), il 53enne Nicola Foccardi (Linea Murano Art), il 77enne Carlo Masotti (Vetreria Murano Arte), i coniugi Elisabetta Bianchini, 52 anni, e Leone Panisson, 66 (Bisanzio Gallery), il 65enne Umberto Cenedese (Ars Cenedese Murano) e infine il 56enne Roberto Aseo (Cam Vetri d’arte). Il giudice ha disposto il sequestro preventivo di 1 milione e 390 mila euro nei confronti di Pellarin, cioè le sue «commissioni» e poi appunto i 5 milioni e 455 mila euro di imposte dirette evase dalle aziende (per le cessioni all’estero l’Iva non è prevista). Ieri mattina, all’alba, un centinaio di agenti ha eseguito 38 perquisizioni, di cui 34 nel Veneziano, una a Trieste, un paio nel Trevigiano e una a Lecce, nelle sedi delle imprese e nelle abitazioni delle persone coinvolte. A casa del cambiavalute, in un paio di cassaforti nascoste dietro ai quadri, sono stati trovati 220 mila euro in contanti e tre Rolex; altri 7 Rolex sono stati sequestrati presso le case di altri indagati, mentre nei conti correnti delle imprese è stato bloccato oltre un milione di euro. In una delle aziende sono stati trovati anche 46 piccoli lingotti d’oro. Nelle prossime ore partiranno anche i sequestri di immobili, auto di lusso e altri beni, fino alla somma prevista. Sono stati infine sequestrati agli indagati computer, cellulari e tablet, da cui si spera di trovare altri riscontri all’indagine. «Anche se il compendio indiziario è già stato definito dal gip, nella sua ordinanza, solido e convincente», ha detto con soddisfazione il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi.
L’indagine è partita nel 2016 quasi per caso, da una serie di verifiche ai cambiavalute. Arrivati a Pellarin, i finanzieri hanno subito riscontrato un paio di anomalie: pur avendo un solo ufficio, la sua società aveva infatti dieci Pos intestati; inoltre, nell’arco di un anno – a partire dall’aprile 2016, quando è stato introdotto l’obbligo di segnalare le operazioni di cambiavalute – la sua «Venexto» risultava averne comunicate solo 150 a fronte di 2236 operazioni Pos. Da lì sono stati fatti gli approfondimenti anche attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, arrivando a registrare diverse «retrocessioni» di contanti. E si è scoperto che i Pos, essendo dotati di Sim autonoma, erano distribuiti nelle varie vetrerie e, in un caso, uno di essi è stato travato nascosto in un’intercapedine. I soldi arrivavano quindi nel conto di Pellarin, il quale quasi ogni giorno si presentava nella sua banca per prelevare le somme, con un «record» di 170 mila euro in un giorno. Il lavoro di cambiavalute prevede infatti anche l’anticipo di contanti e le imposte si pagano solo sulla commissione, che è però una minima parte. L’ultima fase da sistemare era quella dei documenti doganali e anche qui i metodi erano due: o venivano fatte due strisciate, una regolare al Pos aziendale e l’altra illecita, oppure si creava una fattura proforma per l’espatrio della merce. «Dopo la parte penale seguiranno le contestazioni fiscali», ha detto il comandante provinciale della Finanza Giovanni Avitabile.