Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I veneti vocati agli ultimi «Noi che andiamo avanti contro il vento di Matteo»
Ong, associazioni, fondazioni: l’impegno per i migranti va avanti
«Resisto alle idee di Salvini perché non rispettano i diritti umani e offro il mio mestiere a chi ha bisogno», dice la professoressa di chirurgia di Medici senza frontiere. «Non mi giro dall’altra parte», dice la coordinatrice di un ambulatorio di Emergency. Associazioni, collettivi, fondazioni... Le voci dei veneti: un distillato di pensiero dei tantissimi che, a dispetto del vento di chiusura, politico e sociale, continuano ad operare per i migranti.
PADOVA «Non è corretto dire che resisto a Salvini. Resisto alle idee di Salvini, perché non rispettano i diritti umani; perché da ministro dell’Interno spinge per la non applicazione delle leggi sul diritto umanitario, sottoscritte da tutti i Paesi. Non si possono erigere barricate, non le hanno fatte con noi italiani quando abbiamo avuto bisogno e non possiamo farle noi. Faccio quel che posso fare, un mestiere molto gettonato, e lo metto a disposizione». La voce di Elda Baggio è accogliente, calda. Ha il colore dell’arancio, il giallo del limone. Chirurgo dell’università di Verona, dal 2012 è operatrice umanitaria per Medici senza frontiere. A maggio è stata a Gaza, territori palestinesi occupati, ultima di una striscia di missioni che l’ha portata in Somalia, Siria, Congo, Yemen, Iraq... «Il 2 settembre riparto per la Siria», dice l’allieva settantenne del professor Roberto Vecchioni, tra i fondatori della facoltà di Medicina veronese, scomparso nel 2010. Opererà chi ha bisogno, come ogni volta: «I chirurghi sono pochi nel mondo, si sa. Del resto, presto scarseggeranno anche qui...».
Operatori umanitari, volontari, cooperatori... La professoressa veronese è una dei tanti, tantissimi veneti per cui vivere è apertura: al mondo, all’altro. Il registro regionale delle «associazioni, degli enti e degli organismi che operano con continuità nel settore dell’immigrazione» raccoglie 230 realtà vitali. In verità, sono molte di più. Mancano le associazioni non governative, come appunto Msf, Emergency o Save the Children. Manca molto altro. «Un elenco completo non c’è», dicono dalla Fondazione Leone Moressa, istituto di studi sull’economia dell’immigrazione nato da artigiani e piccole imprese. Quanto al numero degli addetti, è «difficile fare il conto. Molte realtà si occupano anche di e altro, per cui non è semplice fare il calcolo delle persone dedicate» ai migranti. Sono comunque migliaia e, come tutti, hanno assistito a mesi di campagna elettorale combattuti con le regole del Vale tudo, la lotta brasiliana che ammette ogni colpo o quasi. Il vocabolario delle parole forti, il campionario delle semplificazioni eletto a regola, i bersagli facili indicati come obiettivi coraggiosi, i messaggi di chiusura, la difesa autarchica del cortile, il nemico esterno da colpire... Associazioni, fondazioni, coordinamenti e organizzazioni di ogni segno e colore continuano il proprio lavoro, sotto l’orizzonte che c’è. Un lavoro che, a distillare qualche voce tra queste esperienze, è missione: toccate ma non intaccate dal vento contrario della politica, che, mai come oggi, sembra portare con sé un sentire diffuso.
«Credo di non potermi girare dall’altra parte, anche se sarebbe più comodo. A volte si rimane scoraggiati, sentendo come siano prese per vere certe cose raccontate. Preferisco continuare a dare il mio aiuto per alcuni, magari limitato. Mi sento di non aver perso...». Marta Carraro, trentenne coordinatrice del poliambulatorio
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Il chirurgo Resisto alle idee di Salvini perché non rispettano i diritti umani. Metto a disposizione il mio mestiere
di Emergency a Mestre, lascia cadere l’ultima parola. Era, per caso, umanità? Abbozza... L’ambulatorio è un frammento della creatura solidale voluta nel ’94 dal veneziano Gino Strada, per «offrire cure medico-chirurgiche gratuite... alle vittime delle guerre, delle mine anti uomo e della povertà». Marta lavora con l’ong da cinque anni, consapevole di fare proprio questo: «La tutela della salute dell’individuo è garantita perché è giusto così ed è nell’interesse della collettività». Pazienti stranieri, anche se qui gli assistiti sono in maggioranza italiani. Il rapporto con loro è quello di sempre, ma Marta vede un sentimento nuovo: «Sembra che garantire cure a qualcuno vada a scapito di altri, ma non è così. Se qualcuno resta senza cure anche il mio diritto alla salute risulta non tutelato». Dietro questo e simili pensieri c’è la spinta di «chi può fare discorsi molto veicolati, parziali e travisando i dati», leggi politici. Emergency, 9 milioni di persone curate nel mondo, non si fermerà. Marta sente «di non aver perso il rispetto per gli altri». Anche per te stessa? «Anche...».
Ventimiglia città aperta. Ieri, almeno 1500 persone da tutta Italia, impegnate per i diritti dei migranti, si sono radunate al confine tra Italia e Francia, per chiedere il permesso di soggiorno europeo e denunciare il fallimento delle politiche migratorie dei governi italiano e francese. Marco Sirotti parla da quel limbo, super presidiato. «Qui la brutalità delle politiche attuate con polizia ed esercito si vede e si tocca con mano», dice il 38enne padovano, partecipe del progetto politico del Pedro, storico centro sociale cittadino, e di altre iniziative: Open your borders, laboratorio di riflessione sui cambiamenti urbanistici e sociali in città, e Libera la parola,
” L’operatrice Credo di non potermi girare dall’altra parte. Sento di aver conservato il rispetto per gli altri e per me
che insegna l’italiano agli stranieri. «Salvini? Non è che mi senta diverso perché c’è Salvini piuttosto che Minniti. Semmai, so che dovrò lavorare di più e meglio per reperire quel che mi serve, auto finanziandomi». Padova, caduto il leghista Massimo Bitonci, da un anno è tornata al centrosinistra. Sirotti attende un cambio di passo che, sui temi e attività che cura, ancora non vede: «L’amministrazione deve dare un segnale in questo senso». É comunque abituato al volo contro il vento politico e sociale: «Andremo avanti. Semmai sono più conscio di quanto sia importante oggi l’attività delle realtà dell’autorganizzazione sociale».
Liliana Trevisanato anima la fondazione dedicata alla figlia Elena, scomparsa troppo presto. Nel villaggio di Darwonaji, Etiopia, ha costruito un piccolo ospedale e ora lavora a un reparto per malattie infettive. Da dieci anni, a Mestre, l’onlus porta avanti un progetto per la riduzione del gap scolastico dedicato ai bambini sinti. Poi c’è lo sviluppo agricolo della Somali Region, nel deserto dell’Est etiope, e tanto altro. «Sono resistente a questo tipo di politica – dice delle chiusure salviniane ma non solo -. Sono per l’accoglienza, certo gestita non in emergenza ma con progetti che diano prospettive di vita». Liliana racconta il suo mondo: «Quando si dà un aiuto, per così dire in forma di start up, le persone si danno da fare e riescono a produrre sviluppo. Bisogna però accompagnarle, non servono solo soldi ma conoscenza». Perché lo fa? «É l’umanità che mi spinge. Poi sono cattolica e all’umanità aggiungo l’aspetto religioso, anche se la fondazione è laica. Le persone in difficoltà vanno aiutate», punto. Il neo ministro dell’Interno può dirsi cattolico? «Per quel che dice e fa, no». Torna e chiude la voce di Elda Baggio. «Sento che oggi è più importante fare testimonianza – dice il chirurgo veronese -. Prima raccontavo con fatica quel che vedevo nelle missioni. Lo sgomento di fronte a certe idee mi ha fatto capire che la gente non sa, non conosce, e ha sempre più bisogno di un nemico per attribuirgli la colpa di quanto gli capita».