Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Esami, avvocati veneti ultimi «Voti bassi? Nella norma»
I «commissari» bolognesi: ispezioni assurde
VENEZIA Non si placa, anzi si allarga, la polemica sui risultati dell’ultimo esame di abilitazione forense. Che ha visto i veneti ultimi in Italia in quanto a promozioni. A valutare i loro compiti è stata la commissione della Corte d’Appello di Bologna. Che è finita all’indice di politici e avvocati veneti, che hanno pure invocato nei suoi confronti ispezioni ministeriali. Stizzita la replica del presidente dell’Ordine emiliano. «Accuse da bar». Intanto in Veneto si discute sulla preparazione dei nostri praticanti.
VENEZIA Non si placa, anzi si allarga a macchia d’olio, la polemica sui risultati dell’ultimo esame di abilitazione forense. Il pomo della discordia sta in quel 32,4% di ammissioni alla prova orale che stride col 45,1% della media nazionale e colloca gli aspiranti avvocati veneti al penultimo posto in Italia. A valutare i loro compiti è stata la commissione della Corte d’Appello di Bologna. E Silvia Rizzotto, capogruppo della lista Zaia in Regione, ha già chiesto un’ispezione sulla correzione degli elaborati al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
In attesa di un riscontro dal guardasigilli (che ha letto la notizia in rassegna stampa ma non ha ancora ricevuto la richiesta di ispezione, e per ora quindi non intende intervenire), a prendere la parola è Giovanni Berti Arnoaldi Veli, presidente dell’Ordine degli avvocati di Bologna. «Trovo molto singolare che si voglia mandare gli ispettori qui a Bologna e non altrove, magari proprio dove ci sono percentuali elevate. È la prima volta che ci si lamenta per giudici d’esame troppo severi, in passato è avvenuto che si richiedesse una verifica nei distretti con alte percentuali di ammissione, non il contrario».
Insomma, l’operato della commissione non si discute: «Il dato non desta meraviglia, anzi lo leggiamo con compiacimento. È in linea con la nostra media. A Bologna come altrove si lavora con trasparenza e i nostri numeri sono storicamente più bassi rispetto ad altre realtà». Il numero uno degli avvocati emiliani respinge anche l’accusa rivolta agli ordini, che avrebbero un numero prestabilito di candidati da promuovere in base al numero dei pensionandi: «Fantasie da bar - la sua replica -. Gli ordini regionali costituiscono una parte marginale dei componenti delle commissioni e hanno il compito di designare la quota di avvocati prevista in commissione, che viene poi proposta al ministero».
Se Bologna si difende, il Veneto non arretra di un millimetro. Mario Bertolissi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova, si schiera con i praticanti: «Per correggere bisogna avere poca fretta, leggere con attenzione, comparare i risultati e considerare la qualità media per evitare eccessi. L’impreparazione dei nostri candidati è da escludere, mentre viene da pensare che la commissione non sia stata all’altezza». Bertolissi inoltre accoglie con favore l’appello a Bonafede: «L’iniquità del risultato dimostra che qualcosa non funziona. E quando c’è un’anomalia ingiustificata, disporre una verifica è più che opportuno».
La strage dei praticanti veneti, ad ogni modo, non intacca la fiducia degli studi legali. «Il problema non dipende dalla loro preparazione, ma dalla severità della commissione commenta l’avvocato padovano Piero Longo -. Ad esempio, è risaputo che da Roma in giù i giudizi sono più benevoli. Si vede che a Bologna hanno deciso di essere severi». Per l’avvocato vicentino Alessandro Moscatelli, il tasso di bocciature «fa emergere una disparità di trattamento tra chi non riesce a superare lo scoglio dell’esame e chi lo aggira andando in Spagna».
Tommaso Dalla Massara, docente di Scienze giuridiche all’Università di Verona, ricorda che la Corte d’Appello si riferisce al luogo in cui gli aspiranti avvocati hanno svolto la pratica: «Non tutti quelli iscritti a Venezia si sono laureati in Veneto – spiega Dalla Massara -. Lo scambio di candidati e commissari tra Corti d’Appello ha migliorato la situazione, ma ha dato vita a rivalità da derby, soprattutto tra le Corti che si sono già scambiate i compiti più volte. Per migliorare bisognerebbe introdurre una commissione nazionale o una serie di garanti nelle varie commissioni». In ambito accademico c’è spazio anche per un’autocritica: «Noi docenti – ammette Dalla Massara - dobbiamo orientare meglio l’accesso alla professione, come stiamo cercando di fare a Verona».
Umberto Vincenti, docente di Diritto romano all’Università di Padova, si stupisce di chi si lamenta: «Il risultato è comunque alto rispetto agli anni Ottanta. Il problema sta nell’inflazione dei laureati: siccome gli atenei hanno abdicato alla loro funzione di selezione, gli ordini hanno alzato un argine per difendersi».
Chi di esami se ne intende è Arturo Sullo, avvocato padovano e direttore scientifico della «Scuola di legge» che prepara i praticanti all’appuntamento con la commissione. Ed è proprio Sullo a spiegare perché la prova è diventata più difficile: «La riforma dell’esame che abolisce il codice commentato è stata prorogata ed entrerà in vigore da quest’anno, ma nelle ultime sessioni sono state scelte delle tracce che vanno già in questa direzione, perché sono costruite solo in parte sulla base di una sentenza. Il problema è che molti studenti non erano preparati a questa forma ibrida e hanno continuato a privilegiare la ricerca della soluzione sul codice commentato al ragionamento».
I candidati iscritti alla Scuola di legge di Padova erano 180 e il loro tasso di ammissione è stato dell’81%: «In pratica - conclude Sullo - la metà dei 377 veneti promossi ha seguito i nostri corsi».