Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Ha ucciso la compagna con 34 coltellate: 18 anni Parenti e amici infuriati
«Sentenza scandalosa». E lui: fatemi sentire mia figlia
CAMISANO Meno di diciannove anni di condanna per aver ammazzato la moglie, la madre di sua figlia, con 34 coltellate, e si innesca subito la polemica sui social, e famiglia e avvocati della vittima esprimono «sconcerto e disappunto», augurandosi «che il pubblico ministero impugni la sentenza». Pm Alessandra Block che aveva chiesto per l’omicida trent’anni di carcere. Era la sera del 12 aprile dell’anno scorso quando l’imprenditore Mirko Righetto, nel corso di una discussione in casa con Nidia Lucia Loza Rodiguez, che gli aveva detto che voleva andarsene e portare con sé la figlia, le aveva inferto una serie di coltellate, anche alla schiena, continuando pure quando lei tentava ancora disperatamente di difendersi e scappare. Fino all’ultimo respiro. Un raptus stando alla perizia psichiatrica, un delitto d’impeto quello commesso il 12 aprile 2017 a Camisano Vicentino dal 48enne reo confesso, ritenuto capace di intendere e volere, che non vale comunque l’ergastolo. Per il quale deve essere esclusa l’aggravante della crudeltà (rimasta quella della parentela) secondo il giudice Barbara Maria Trenti, che ieri ha condannato l’ex imprenditore a diciotto anni e otto mesi di reclusione. Partendo da una pena base di 28 anni, non quindi dal fine pena mai, con lo sconto di un terzo previsto dal rito scelto e cioè l’abbreviato. «Diciotto anni? Praticamente nulla, la chiave andava buttata e sono ancora buona» scrive Deborah su Facebook, «Che schifo» è il commento di Anna, «Ergastolo», insiste Maria, «Pena di morte» invoca Gabriella, «Queste cose inorridiscono: cavarsela sempre con poco avendo fatto cose orrende» commenta Nadya. A scrivere anche un’amica della 37enne di origini colombiane uccisa: «Quante volte ho sperato riuscissi a scappare da quell’uomo che ti aveva reso “schiava” – sono parole di Serena – 18 anni non sono nulla». Sconvolti anche i familiari di Lucia che abitano in Colombia e che hanno sempre chiesto a gran voce giustizia. «Amo ancora mia moglie, sono disperato, terribilmente affranto per quello che le ho fatto» quanto sostenuto in aula nella scorsa udienza da Righetto, condannato a risarcire i parenti della donna che si erano costituiti parte civile con una provvisionale subito esecutiva di 380mila euro (40mila a genitore e 30mila a fratello e sorella). Cifra destinata a rimanere solo sulla carta. Motivo per cui difficilmente apriranno una causa civile per ottenere il restante risarcimento. Seicentomila euro è invece la provvisionale da liquidare alla figlia di quattro anni (affidata all’ex moglie di Righetto e contesa dai parenti colombiani, ma su questo deciderà il tribunale dei minori). «Voglio riuscire a sentire almeno al telefono mia figlia» la richiesta, disperata, dell’omicida, dopo la lettura della sentenza, al suo avvocato Marco Dal Ben. Il quale aveva sostenuto che il disturbo della personalità riscontrato al suo assistito aveva portato a ridurre, se non annullare, la sua capacità di volere al momento del fatto. «Sul punto ci riserviamo di valutare che cosa avrà dedotto il giudice e poi di ipotizzare una seconda valutazione in fase di appello» fa sapere Dal Ben che parla di «sentenza equilibrata», riservandosi di leggere le motivazioni. Di diverso avviso gli avvocati della famiglia della vittima, Paolo Mele senior e Nicola Guerra. «La pena inflitta è, in ragione delle riduzioni e benefici concedibili, a dir poco “premiale” stante l’efferratezza dell’omicidio» il commento di Mele senior che parla di «impeto preordinato, che Righetto aveva già ampiamente narrato nei suoi scritti ritrovati nel pc». Righetto che, secondo i calcoli e considerati i benefici di legge, potrebbe già uscire dal carcere tra sette anni. Quanto all’impugnazione della sentenza «con riferimento alla pena – continua Mele senior - è preclusa alle parti civili, e alle stesse non resta che fare affidamento all’iniziativa del pm».