Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il peggior nemico delle aziende è l’incertezza, un limbo che nuoce
I lavoratori ancora non si sentono perché non hanno capito se sarà un bene o un male
Si stanno alzando, da più parti, lamenti e proteste per questo Decreto. Protestano le imprese, perché si reintroducono vincoli ai contratti, e aumentano i costi dei licenziamenti. Si lamentano le agenzie di somministrazione, perché non sanno cosa scrivere nei contratti. Mugugnano gli operatori, perché c’è troppa confusione, e non si capisce bene cosa fare con proroghe e rinnovi. Ancora non si sentono i lavoratori, che forse non hanno ancora capito se questa è per loro una buona riforma. In verità, per loro non c’è un’unica risposta possibile e la risposta più corretta è: dipende. Se i lavoratori possono essere facilmente sostituiti, o il costo di sostituzione è basso, al raggiungimento del limite di durata del contratto a termine, l’impresa preferirà sostituire il lavoratore a termine con un altro, sempre a termine. Se, invece, il lavoratore è capace, ha dato buona prova di sé, e non è facilmente sostituibile, l’introduzione di limiti di durata più brevi (da 36 a 24 mesi) favorirà la stabilizzazione del rapporto, ma questo succedeva anche prima, perché quando hai bisogno di un lavoratore e ne trovi uno bravo, la stabilizzazione del rapporto costituisce un approdo necessario, anche per evitare che, nell’incertezza, il lavoratore si metta a cercare altra occupazione. Quindi, bene per alcuni, mentre per gli altri vedremo. Certo, per tutti, questi primi giorni sono stati giorni di confusione. Già da prima dell’entrata in vigore del Decreto. Molte aziende, che avevano contratti a termine in scadenza, si sono affrettate a prorogare i contratti per evitare l’applicazione delle nuove norme. Qualcuno ha addirittura prorogato contratti che scadevano anche molto in là, rincorrendo la firma di dipendenti che non capivano perché. Qualcuno ha stipulato nuovi contratti con efficacia differita a dopo l’entrata in vigore della legge, per continuare a usufruire della vecchia disciplina. Tutto possibile, anche se con qualche dubbio sulla legittimità di proroghe e rinnovi chiaramente fatti per evitare l’applicazione di una legge (che tuttavia ancora non c’era). Quando poi la nuova legge è entrata in vigore, e le aziende hanno capito che allora era vero che cambiava tutto, è scoppiato il caos. Per capire cosa sta succedendo basta fare qualche esempio. Ci sono lavoratori a termine che hanno superato, contando anche i periodi di somministrazione, i 24 mesi di impiego: per questi, dopo il Decreto, non c’è più possibilità di essere assunti dalla stessa azienda con un contratto a termine. E quindi o l’azienda li stabilizzerà, o staranno a casa. È giusto? È meglio? In verità, e qui sta uno dei tanti paradossi della riforma, potrebbero ancora lavorare in quella stessa azienda, ma solo in somministrazione, e quindi per una agenzia che li invia a termine… Ma i vincoli ora valgono anche per le agenzie, e quindi, se in quella agenzia hanno già lavorato per 24 mesi, non potranno più essere somministrati da quella agenzia, ma potrebbero essere somministrati da un’altra, diversa, agenzia per cui non hanno già lavorato. È quello che chiamo “effetto tergicristallo”: avremo cioè lavoratori che per lavorare saranno costretti a cambiare casacca (agenzia) più volte, cumulando sempre e solo rapporti a termine. È questo che chiamiamo “dignità”? Ci sono poi lavoratori che sono stati da poco assunti a termine e che continueranno, anche dopo la nuova legge, ad essere impiegati a termine, solo che, dopo 12 mesi, potranno continuare a lavorare a termine soltanto se c’è una qualche ragione che lo giustifica. Pensate a una commessa assunta a termine che arriva, tra una proroga e l’altra, a 12 mesi. Questa commessa, dopo i 12 mesi, potrà continuare a lavorare a termine, per un massimo di altri 12 mesi, soltanto se: a) va a sostituire qualcun altro; oppure b) se succede qualcosa di straordinario che giustifica la prosecuzione (ma cosa vuol dire?); oppure c) se vi è un incremento imprevisto di lavoro (che è come dire “un colpo di fortuna”). Tre ipotesi, alternative, che nella realtà sono tutte molto improbabili. E, quindi, o starà a casa o andrà a lavorare, ancora a termine, per una agenzia di somministrazione, che la girerà all’azienda ancora a termine. È proprio quello che si voleva?