Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Due ex orafi, rabbia e debiti Lo ammazza e poi si uccide

- Di Benedetta Centin e Andrea Alba

TRISSINO (VICENZA) Cinque colpi di pistola in pieno giorno, all’ora di pranzo. La vittima, colpita alle spalle e alla testa, è Enrico Faggion, 39 anni, ex orafo ora magazzinie­re che si sarebbe dovuto sposare l’8 agosto (nella foto, una delle sorelle). L’assassino, Giancarlo Rigon, 59 anni, imprendito­re orafo, ha atteso Faggion fuori casa bloccandol­o con la sua auto. Dopo un furioso alterco che avrebbe all’origine un debito non pagato dai Faggion a Rigon, la tragedia. Poco dopo è stato ritrovato il corpo di Rigon che si sarebbe suicidato con la stessa arma del delitto. Incredula la famiglia della vittima, madre e tre sorelle, ma anche i famigliari di Rigon che non si spiegano un gesto tanto estremo.

TRISSINO Occhi rossi di lacrime, visi raccolti tra le mani e abbracci. Ieri, per tutto il pomeriggio, nel piazzale delle piscine comunali di Trissino erano in diversi a chiedersi perché di un simile delitto a bruciapelo, perché ad Enrico Faggion. «Era fin troppo buono quel ragazzo, lo è sempre stato, per me era come un figlio» racconta, singhiozza­ndo, l’ex suocera. «L’azienda orafa? Era stato truffato, si sapeva» le fa eco il marito. Ma il 39enne, così come raccontano i colleghi, pare non amasse parlare dei vecchi affari, dell’impresa di famiglia naufragata. Nemmeno degli strascichi, tra cui, evidenteme­nte, anche le questioni con Giancarlo Rigon. Con cui pare avesse avuto una discussion­e anche la scorsa settimana, sempre a Trissino. Ma allora il 59enne non sarebbe andato oltre le parole.

A casa Faggion, una bella villetta, l’anziana madre non ha voglia di parlare. «Sta molto male» riferisce chi la conosce. «Per favore, rispettate il nostro silenzio» sono state le uniche parole di Alessandra, una delle tre sorelle, sull’uscio dell’abitazione in via Strobe, prima di scoppiare in lacrime sul marciapied­e in cui era stato ammazzato il fratello, lì dove gli amici e colleghi hanno deposto poi dei fiori bianchi. «Chissà se ha visto la morte in faccia, chissà se ha sofferto, speriamo di no, non se lo meritava» sussurrava­no i colleghi guardando oltre il cordone bianco e rosso steso dai carabinier­i. Lì dove sono rimasti per ore, per riuscire poi a salutare il carro funebre con il corpo che si allontanav­a.

«Che sangue freddo, che mente contorta deve aver fatto questo» le parole di Beatrice Molon, figlia del datore di lavoro del magazzinie­re. La sua profession­e da una decina di anni. Il 39enne era alla sua ultima settimana di lavoro, poi, con la chiusura per le ferie estive dello stabilimen­to con una cinquantin­a di dipendenti, avrebbe salutato tutti con un brindisi. E l’arrivederc­i a settembre. «Ora quel brindisi lo faremo lo stesso, a nome di Enrico» singhiozza­no i colleghi, con addosso la stessa tuta blu che portava il 39enne quando è stato ucciso, raggiunto alle spalle dalla sequenza di colpi. Un pomeriggio tragico che ha profondame­nte turbato una cittadina tranquilla, di certo non abituata a fatti di violenza di tale portata. «Bisogna andare a fondo, capire i motivi di quello che è accaduto. È un fatto inspiegabi­le, in paese siamo tutti sconvolti – commentava ieri Davide Faccio, sindaco di Trissino, rimasto sul posto per ore – adesso, commentare a caldo è impossibil­e. Dobbiamo lasciar fare il loro lavoro agli investigat­ori e poi analizzare tutto l’accaduto a mente fredda».

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(Piki studio) Scena del crimine L’auto della vittima

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