Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Noi fratelli legati da un amore grande»
Il ricordo di Marco: tra fratelli ci amavamo moltissimo
VENEZIA La voce arriva spezzata dai singhiozzi. «Ci siamo voluti bene, molto bene».
Marco De Michelis, 73 anni, fratello minore di Cesare, docente alla Bocconi (e per molti anni preside di facoltà allo Iuav di Venezia), in questi giorni è negli Stati Uniti. Ha ricevuto la tragica notizia lì, molte ore dopo, causa fuso orario. Si è svegliato e il cellulare continuava a trillare, intasato di messaggi di cordoglio. Centinaia. Con Cesare si erano visti qualche settimana fa, a Venezia. Non riesce a farsene una ragione. Su tutto prevale lo strazio. Ogni frase è interrotta dal pianto.
Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
«Con Cesare ci sentivamo sempre, continuamente. C’era una legame fortissimo, ci volevamo molto bene. Così anche con Gianni. Uniti. Legatissimi. Tante telefonate. Io vivo a Milano, ma tornavo spesso a Venezia solo per vedere Cesare. Come qualche settimana fa, c’era l’inaugurazione della Biennale Architettura, è stata l’occasione per vederci».
Il ricordo più affettuoso che le viene in mente di voi due insieme?
«Ho una vita di ricordi. Parlare, litigare, discutere con lui era un vero piacere. Uno spasso. Aveva un gusto del paradosso unico. Anche se era un uomo severo».
Era severo come fratello? «Sì, era severo anche come fratello. Ci siamo amati tantissimo - non riesce a trattenere i singhiozzi - . Con lui ci si divertiva sempre. Il piacere di leggere, studiare, approfondire che lo caratterizzava contagiava come un’onda tutti quelli che gli stavano intorno. Casa sua era sempre piena di gente. Quanto amava le conversazioni e le discussioni... a volte urlava come un matto. Ma in realtà si divertiva. Più qualcuno era in disaccordo con lui, più gli dava soddisfazione. I suoi interlocutori preferiti erano Paolo Mieli, Francesco Giavazzi, Massimo Cacciari: discussioni infinite, però li considerava alla sua altezza. Le persone troppo accondiscendenti non gli piacevano, apprezzava più un avversario che un lacchè».
Da quanto tempo era ammalato?
«Cesare era ammalato da trent’anni. Gli avevano dato sei mesi di vita trent’anni fa, dopo la diagnosi del cancro al polmone. Il medico allora aveva parlato proprio con me. Invece è rimasto sulla terra altri 30 anni, con un polmone solo. E vivere con un polmone solo è una grande battaglia, tutto fa più fatica, il cuore, i reni, il respiro. Tempra durissima. Fino all’ultimo giorno ha lavorato, pensato, progettato, realizzato, si è circondato di amici. Non ha rinunciato a impegni, eventi, cene».
Cosa conserva di più di suo fratello Cesare?
«Di lui conservo e ammiro due cose soprattutto: l’amore
per la sua creatura, la casa editrice Marsilio, che è l’unica casa editrice nata nel ‘68 e ancora viva. L’ha difesa contro tutti, ha combattuto come un leone, l’ha amata moltissimo. Ho sempre ammirato questa tenacia e questa passione. E poi l’altra cosa che caratterizzava mio fratello e ammiravo era l’eleganza nel pensiero. Una qualità che tutti gli riconoscevano. Era famoso per l’abilità oratoria, per la profondità e l’acutezza del pensiero. Lasciava sempre il segno. Una mente brillante, acutissima».
Cosa vi piaceva fare insieme?
«Io scappavo da lui ogni volta che potevo. Anche adesso che vivo a Milano. Stare insieme, tra fratelli, era sempre un piacere. Tante le cose da dire e su cui confrontarci, tanti i progetti. Non è facile da spiegare, ma noi fratelli siamo sempre stati legatissimi, anche con Gianni, che è il maggiore. Un amore, un amore grande. Anche per questo quando il medico ha detto proprio a me che a Cesare restavano sei mesi di vita, è stato straziante.
Lì ho capito tutta l’importanza e il dolore della parola perdita.
Ma poi le cose sono andate diversamente. Cesare non se n’è andato, ha avuto altri trent’anni di vita in cui ha realizzato tantissime cose e ci ha dato tanto. E ha superato anche un’altra malattia».