Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Io spaccavo cemento Jeffry cercava fessure»
Veneti applauditi: «Da pelle d’oca». Altri 34 partiti ieri
«Oltre il peggio che ci si può aspettare». I vigili del fuoco veneti al lavoro fin da martedì nello scenario, terrificante, lasciato dal crollo del ponte di Genova. Anche con le unità cinofile, a scavare e cercare persone tra montagne di cemento e fette di viadotto.
VENEZIA Una montagna di cemento armato da demolire blocco per blocco, cemento da scavare. Piloni e fette di viadotto tra cui infilarsi, varchi strettissimi in cui far passare i cani, tutti alla ricerca di auto, di corpi che si spera possano avere ancora un battito.
C’erano e ci sono anche i «nostri» vigili del fuoco del Veneto nello scenario, terrificante, lasciato dal crollo del ponte Morandi a Genova. «Oltre il peggio che ci si può aspettare» racconta chi è tornato ieri sera, dopo cinque giorni di estenuante lavoro tra polvere, macerie titaniche, quasi insormontabili, impenetrabili. Ma non per i nostri eroi, i vigili del fuoco. Quattro quelli partiti con altrettante unità cinofile del nucleo regionale (da Mestre, Padova, Belluno e da Pordenone che si è unita al Veneto) già il giorno del disastro e rientrati ieri. E sempre ieri, all’alba, è invece partita dalla caserma di Mestre la squadra Usar (Urban search and rescue) dei vigili del fuoco del Veneto per dare il cambio a Genova ai colleghi della Lombardia: 34 gli operatori del team provenienti da quasi tutti i comandi del Veneto, specializzati nelle operazioni in maceria e tra loro anche un’unità cinofila. Li chiamano i «diavoli delle macerie», aggressivi nel penetrare e demolire i blocchi, rapidi, determinati. Ma sono angeli. «Continuate questo triste ma indispensabile lavoro e sappiate che il Veneto è con voi» le parole di gratitudine del governatore Luca Zaia. I pompieri continueranno a scavare, anche a mani nude, «fino all’ultimo blocco di cemento - raccontano i colleghi rientrati - fino a quando non si arriverà al livello strada e verrà raso al suolo tutto». Solo allora, quando la conta delle vittime sarà definitiva, si smetterà di cercare.
Mauro - niente cognome, per carità, perché «qui siamo tutti vigili del fuoco e io non cerco pubblicità» - è rientrato ieri sera in caserma a Venezia, dove è in servizio dal 1996 (ma sono 28 anni che indossa la divisa da pompiere). Con lui l’inseparabile «collega» a quattro zampe, o meglio, come spiega, il suo «miglior collega»: è il suo cane Jeffry, border collier di otto anni. I due, assieme agli altri tre operatori della squadra veneta (e altrettante unità cinofile) hanno lasciato da poche ore Genova, quel tratto di autostrada A10 cancellato in pochi istanti assieme a decine di vite. Ma l’immagine che Mauro ha negli occhi, al lavoro «nel cratere» per tutta la notte fino a ieri mattina, sembra indelebile.
Il «muro di macerie in verticale, alto venti, trenta metri, escavatori e demolitori al lavoro sotto la pioggia, di notte e di giorno, tra volumi incredibili di cemento, ferro e tondini da spostare, frantumare - riferisce - e ancora badili e mani dei colleghi a scavare, e cani che si infilavano non appena si apriva un pertugio». Non senza ferirsi ai polpastrelli visto il materiale su cui hanno operato. Ma non hanno mai abbaiato, segnalato la presenza di persone vive ai colleghi vigili del fuoco umani, trecento al lavoro a rotazione da martedì. «Non abbiamo mai visto nulla del genere, oltre al peggio che potevamo immaginarci, non paragonabile nemmeno ad una frana» racconta Mauro, e lo dice lui che di catastrofi ne ha viste, operando, solo per dirne alcune, da Rigopiano a Refrontolo a L’Aquila, dove con i colleghi ha resuscitato dalle macerie una studentessa di 21 anni, rimasta sotto i calcinacci per 42 ore. «La speranza di trovare ancora qualcuno in vita c’è fino all’ultimo» sono ancora parole di Mauro, che racconta del grande abbraccio e riconoscimento della città, ferita nel profondo, ai vigili del fuoco.
«I genovesi ci hanno dimostrato in tutto la loro gratitudine - riferisce Mauro - offrendoci il caffè al bar, cantando per strada, al nostro passaggio, canzoni sui pompieri, e alla cerimonia di ieri gli applausi per il Corpo sono stati da pelle d’oca». E, per i cani al lavoro, c’erano anche marito e moglie veterinari, sempre a disposizione, sul cantiere di ricerca. «Erano le nostre ombre, ci hanno curato i cani in modo maniacale, non li avremo ringraziati mai abbastanza». Ma questa è un’altra storia di piccoli grandi eroi.