Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IMPRESE, SE SALE LA «FEBBRE»
Scusate, ma quando parliamo di impresa? La domanda si fa largo nel mondo produttivo. O meglio, industriali e artigiani la pongono con sempre maggiore insistenza (e impazienza) al governo. I temi della crescita e della cosiddetta economia reale sono completamente spariti dai radar della politica nazionale. Tutta concentrata a battere il pugno di ferro contro gli sbarchi dei migranti e a sparare contro l’ignavia dell’Europa. Peccato che all’orizzonte si profilino le nubi nere della guerra dei dazi, dello spread in impennata e, soprattutto, della frenata della ripresa, certificata dalla revisione al ribasso delle previsioni per il 2018 e il 2019. Dopo le polemiche sul «decreto Dignità», il sistema imprenditoriale confidava in un cambiamento di rotta. Al contrario, la tragedia del ponte Morandi, a Genova, ha portato alla ribalta un clima da anni Settanta, in cui si discute di nazionalizzazioni e di massiccia presenza dello Stato nell’economia.
Ce n’è abbastanza. Al punto che Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, è arrivato a minacciare proteste plateali da parte degli imprenditori, sul modello della famosa marcia dei 40 mila, alla Fiat, nell’ottobre del 1980. I maggiori mal di pancia, però, si avvertono lungo quell’asse VenetoEmilia Romagna dove l’export continua a volare e la disoccupazione è scesa al minimo storico del 5 per cento.
Insomma, dove erano più alte le aspettative e, perché no, i consensi, specie nei confronti della Lega, affiorano le prime disillusioni. Ha voglia Matteo Salvini a liquidare le critiche dicendo che «gli industriali che contestano sono al massimo cinque». Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato Veneto assicura che il malessere (anzi «la febbre», come la chiama lui) cresce di giorno in giorno e interessa tutti i suoi associati: non cinque ma cinquantamila piccoli e piccolissimi di ogni settore. Mentre da Bologna Patrizio Bianchi, economista, oggi assessore della Regione a Scuola e Lavoro, ripete in tutte le salse che se si vuole consolidare la ripresa occorre (ri)concentrarsi sui due principali motori, dell’innovazione e della formazione. Certo, tre mesi sono pochi. Ma è evidente che il sistema delle imprese, in questo autunno dalle avvisaglie caldissime, si aspetta dal governo un cambio di passo. Matteo Zoppas, numero uno di Confindustria Veneto, la riassume così: «Il consenso lo avete, adesso fate qualcosa. E ricordate che le imprese non sono il nemico». Per cominciare, è necessario fare chiarezza sulla questione delle infrastrutture. Tav, Pedemontana, Passante di Bologna non possono rimanere ancora nel limbo, in quanto opere fondamentali per un Nordest a fortissima vocazione internazionale. Basta un dato: secondo l’ultimo rapporto sull’export della Sace, l’Italia perde 70 miliardi all’anno sui mercati planetari, 4 punti di Pil, proprio per le carenze infrastrutturali. Poi c’è tutto il capitolo che riguarda il sostegno allo sviluppo. Dalla riduzione del cuneo fiscale al rilancio del piano Industria 4.0 (altro tema sparito), per non parlare delle promesse sulla liberazione dall’oppressione della burocrazia. Forse è bene ricordare che solo la crescita crea buona occupazione. A meno che qualcuno non pensi davvero che esiste la decrescita felice.