Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IL RAMO EUROPEO DA TENERE
Quante volte il governo LegaM5S potrà minacciare la sospensione del pagamento dei contributi italiani all’Unione Europea o anche solo di porre il veto sul bilancio dell’Unione? Quante volte verrà creduta? O al terzo «al lupo, al lupo» incontrerà solo indifferenza? Ieri lo ha fatto perché insoddisfatto della risposta dei partner europei alla richiesta di redistribuzione dei rifugiati della nave Diciotti, ma è facile prevedere che si presenteranno presto altre occasioni di «insoddisfazione» per il mancato accoglimento europeo dei desiderata italiani. L’occasione clou sarà la verifica di compatibilità della politica fiscale italiana con gli impegni europei di stabilità e crescita che si avvicina ed è facile immaginare definirà la cifra del confronto: tattico, rischiando peraltro l’isolamento, o strategico, per puntare ad una inutile Unione di egoismi statali inconciliabili? Il pericolo è che non ci si renda conto che acuire il clima di scontro tra il nostro Paese e l’Unione equivale a segare il ramo dell’albero europeo sul quale siamo seduti. Un albero cresciuto con difficoltà dal 2005 ad oggi, da quando il perseguimento esplicito del comune interesse europeo ha ceduto il passo a compromessi tra sovranismi, consapevoli o meno. Un ramo, quello italiano, scomodo, pieno di nodi, meno vitale di quelli sui quali sono seduti altri stati membri.
Ma ramo di un albero comune europeo che nella foresta globale ha, come gli alberi di Usa, Cina, India, Russia e pochi altri, la taglia necessaria per resistere ai venti della rivoluzione tecnologica, dei cambiamenti climatici e della transizione demografica che soffiano negli «spazi di azione cosmopolizzati» creati dalla connettività globale. Un albero europeo che garantisce alle esportazioni italiane un mercato intraeuropeo di oltre 225 miliardi di euro e lo protegge su un mercato extra Ue di quasi 170 miliardi: tutti mercati che vedono il Nordest protagonista nella creazione dell’avanzo commerciale sul quale contare per uscire dalla crisi. Un albero europeo, per venire al nocciolo della questione, che con l’imporci il rispetto dei vincoli di stabilità e crescita, o la misura e i modi del loro allentamento, ci dirà impietosamente «quanto sia nudo il re» degli obiettivi-bandiera (reddito di cittadinanza, flat tax. riforma della legge Fornero, etc) troppo facilmente venduti agli elettori. Ma un albero che aiutandoci a quadrare il cerchio può convincere i mercati a far convivere i nostri obiettivi di crescita con la gestione dell’enorme debito pubblico che ci attanaglia. Russia, Usa, Cina possono promettere di sostituirsi per qualche tempo ad alcuni dei nostri creditori attuali --a prezzi politici tutti da misurare—ma è solo l’Unione europea che può aiutarci a far fruttare a fini di crescita e, alla lunga, di riduzione del debito la risorsa costituita dall’avanzo della nostra bilancia commerciale. Ma non saranno i ricatti ad indurla a farlo. Anzi. C’è un comune interesse europeo in questo. Un interesse europeo –che coincide con quello italiano—che un governo capace di pensare «in europeo» potrebbe/dovrebbe far emergere. Esistono, per esempio, reti transeuropee di trasporto (ma anche energetiche e digitali) da realizzare in Italia nel miglior interesse comunitario. Valgono senz’altro più dei 50 miliardi di euro di investimenti ai quali i ministri Tria e Savona stanno pensando. Perché dunque anziché ricattarla non si pretendono dall’Ue impegni a maggiori cofinanziamenti o a sforamenti mirati dei vincoli europei di reddito e di debito? Ma questo comporta l’intelligenza di usare al meglio, nel comune interesse, il livello di governo europeo, non il masochistico desiderio di renderlo inefficace.