Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Fiducia e «cattiveria» Il successo della Mostra nell’era di Netflix
La Biennale presieduta da Baratta ha investito anche per riguadagnare il contatto perduto con il Lido dopo il caso del «buco». La giuria guidata da Guillermo del Toro ha saputo guardare con decisione oltre le indicazioni dei cinefili
Il Leone d’Oro ad Alfonso Cuarón è solo un dettaglio. Sullo sfondo si stagliano le due polemiche che hanno tenuto allegro il fuoco della discussione per tutta la Mostra: la presenza schiacciante di Netflix al Lido e l’assenza quasi totale di registe donne in concorso (una su ventuno). La chiave per leggere il successo di Venezia 75, edizione lodata e fortunata della Mostra d’arte cinematografica di Venezia, chiusa sabato con il leone d’Oro assegnato a Roma del messicano Cuarón (prodotto da Netflix), sta nella corda sottesa tra le parole «fiducia» e «cattiveria». La Biennale guidata dal presidente Paolo Baratta ha investito molto sulla prima chiave - la fiducia - ristabilendo il contatto perduto col Lido, l’ex isola d’oro che negli anni del «buco» del nuovo palazzo del cinema ha vissuto la kermesse come una ferita inferta a un corpo malato, privato del Grand hotel Des Bains e dell’Ospedale al Mare, avviato a una fine indegna del glorioso ma lontano passato. E questo nonostante dal 1932 con l’eccezione di poche edizioni, la Mostra abbia riempito ogni anno per dieci giorni ,ogni sorta di hotel, affittacamere, stanza, letto del Lido malgrado prezzi fuori mercato e standard di qualità quasi mai all’altezza del conto. Eppure «i festivalieri», «quelli col cordino» e gli «invasori» della Biennale erano guardati storto. La tendenza ha cominciato a invertirsi quando quel «buco», rappresentazione plastica di vari fallimenti, è stato coperto da un tappeto erboso e dal cubo rosso della sala giardino. Nel frattempo il direttore della Mostra, Alberto Barbera, in sella dal 2012 e al suo posto da contratto per altre due edizioni, lavorava su un’altra fiducia, quella di Hollywood. Che in tempi di invasione del cinema mainstream e della moltiplicazione degli schermi, in tempi di crisi del-
le sale e di cambiamento dei gusti con una certa tendenza all’appiattimento, resta l’unica strada perché il festival sia considerato per quello che è: una Mostra d’arte con Lady Gaga sul red carpet. Un colpo al pubblico che si assiepa davanti al palazzo del cinema tutto il giorno anche di mercoledì, un colpetto al cinefilo che si emoziona per il film thailandese (vincitore di Orizzonti) che, probabilmente, vedrà solo lui.
E poi c’è la «cattiveria». Ter- mine da leggersi lontano dalla morale. Di una squadra che gioca bene ma non vince si dice che le manca un po’ di cattiveria. Della Mostra del cinema che nel 2014 assegnò il Leone d’Oro al film Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza dello svedese Roy Andersson, snobbando Birdman di Alejandro González Iñárritu (che poi vinse quattro Oscar), si disse che fu ostaggio dei cinefili puri. Oggi potremmo dire che a quella Mostra mancò un po’ di quella «cattiveria» che invece quest’anno le ha permesso di premiare il film di un grande autore, ma prodotto da Netflix; l’opera in bianco e nero di un regista lanciato verso gli Oscar, ma amico intimo del presidente della giuria che gli ha consegnato il Leone, Guillermo del Toro. Di più: dal 25 luglio in poi, giorno di presentazione del cartellone, Barbera ha resistito al fuoco di fila dei movimenti delle donne, che lo hanno accusato via via di un sessismo sempre più marcato, arrivando alla vignetta dell’Hollywood reporter che gli dava del maschilista. La Mostra non è arretrata di un passo, ma la giuria ha dato ben due premi a The Nightingale di Jennifer Kent, mettendo a posto anche le donne.
Se anche questo aiuterà il Lido, è presto per dirlo. Quest’anno la Biennale, grazie a un accordo con Coima, ha riaperto la sala Visconti del Des Bains per un’esposizione celebrativa. L’anno prossimo il mosaico dovrebbe completarsi con i lavori di ristrutturazione del Casinò. E anche in questa partita servirà la giusta cattiveria.