Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Se la fermano ora, addio Tav»
Vescovi e le ansie dei produttori: «C’è un calo di fiducia»
VICENZA «Se fermano ora la Tav, non la vedremo più». Così Luciano Vescovi alla vigilia dell’assemblea di Confindustria Vicenza.
VICENZA «Se la fermano ora, la Tav in Italia non la vediamo più». Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, entra in uno dei temi specifici che sarà al centro dell’assemblea 2018 dell’associazione, domani nella sede di Otb, a Breganze. Farà i conti con le apprensioni per le scelte del nuovo governo, riflesse nella manovra, che si calano su uno scenario di cambiamento tecnologico e sociale, già di suo non poco ansiogeno, riflesse nel titolo stesso dell’assise, «Dove ci porta il cambiamento».
«Abbiamo messo sullo stesso piano rivoluzione tecnologica e demografica - spiega Vescovi -. Sulla prima c’è un fatto: il 4.0 ha cambiato la logica produttiva del manifatturiero, a Vicenza e a Nordest, migliorando la produttività. Frutto di una politica industriale che ha sostenuto il manifatturiero promuovendo gli investimenti per renderlo più competitivo. Ecco il calo della fiducia, nonostante un anno e mezzo ottimo: manca la rassicurazione di una politica industriale che non vediamo. Che non si può fare e poi abbandonare. Per questo una delle richieste forti al governo è di stabilizzare gli incentivi sugli investimenti tecnologici».
E la rivoluzione demografica?
«Dirompente. Oltre all’impatto su pensioni e spesa pubblica, in un mondo che invecchia il manifatturiero fatica a trovare risorse tecniche giovani. Anche qui non vediamo una linea del governo. Non parlo di sicurezza o decreto Salvini. Ma di giovani immigrati, regolarmente presenti qui, da indirizzare in un percorso di integrazione e professionalizzazione. Un sistema-Paese, come fa la Germania, lo deve definire. Percorso formativo che per me poi è stato scelleratamente interrotto anche dal Decreto-dignità, che ha limitato le assunzioni a tempo determinato. È tutto parte di una politica industriale oggi non chiara».
L’assemblea arriva nei giorni della manovra finanziaria. Che giudizio ne date?
«Un giudizio compiuto verrà quando la vedremo. Ma l’aspettativa preliminare è di blindare le risorse contro l’aumento dell’Iva. Devono esserci prima di tutto: l’Iva al 25% sarebbe devastante».
E poi immagino guardiate a infrastrutture e Tav, rilevante a Vicenza.
«All’insediamento del governo abbiamo detto che c’erano criticità. Dal decreto Dignità siamo usciti stupiti e delusi. Sull’Ilva invece abbiamo annotato con soddisfazione che uno dei perni dell’industria italiana non è stato cancellato. Il terzo nodo sono le infrastrutture. Imprescindibili. La Pedemontana non può esser messa in discussione e va completata rapidamente. Se il ministro Toninelli ha dubbi prenda la macchina e venga qui a capire. Basta prendere l’A4 per trovare tutto intasato dallo sviluppo del manifatturiero degli ultimi due anni».
E la Tav?
«Se lo stato della viabilità è quello, vogliamo dare uno sfogo disciplinato e programmato del trasporto ferroviario? Senza stupidaggini come le soluzioni virtuali, tipo che con la telematica si può viaggiare su due binari come fossero quattro. Chiudo con l’infrastruttura telematica: anche di quella c’è bisogno come il pane».
E le nostre imprese sono pronte per una sfida così aperta come il mercato globale? Il territorio le sostiene o si chiude magari nell’idea che sia sufficiente l’autonomia?
«Distinguiamo. Il contesto veneto e vicentino è molto favorevole per la manifattura. Per le imprese ancora di proprietà familiare, dove gli investimenti sono stati massicci e i risultati si vedono, in aziende che s’internazionalizzano ma mantengono qui testa e centri ricerca. Ma favorevoli anche agli investimenti esteri - le cito i casi dei francesi in Bottega Veneta, degli inglesi in Manfrotto, degli americani in Lowara e dei giapponesi in Ebara - che trovano qui risorse umane preparate e un contesto favorevole per creare valore.
L’autonomia con questo non contrasta. Non mi pare il frutto di voler fare i primi della classe, ma di condividere un modello che funziona cambiando la macchina arrugginita creata nel 1970 con le Regioni».
Non fate l’assemblea in fiera perché la sentite distante dopo la fusione con Rimini?
«Andiamo in un’azienda, e in un’eccellenza come Otb, per ribadire la centralità delle imprese nel territorio. Sulla fiera riteniamo la fusione molto positiva e l’abbiamo sempre sostenuta. Le fiere locali sono morte».
Confindustria Padova e Treviso si sono fuse ponendosi come perno ideologico del Nordest che fa triangolo con Milano e Bologna. Come cambia questo i rapporti tra voi?
«No, guardi, il quadro non è cambiato e non c’è necessità di contromisure. Posso invece dire che abbiamo trovato intorno al presidente Matteo Zoppas un forte rilancio del livello regionale, a cui stiamo partecipando attivamente e di cui siamo orgogliosi. Con le numerose uscite recenti, con la crescita del profilo di Fondazione Nordest, nel cui advisory board entreranno figure importanti, con il successo del Campiello».
E Confindustria Vicenza come sta? Come vanno le adesioni? E quanto hanno colpito la crisi e il crac Bpvi?
«Il nostro bilancio è pubblico. Abbiamo una crescita sostanziale. Non uso mezzi termini: l’associazione sta andando benissimo, sul numero di associati, sull’allargamento dei servizi, sulla proiezione all’Europa».
E sui servizi pensate ad aggregazioni con altre associazioni?
«No. Abbiamo una struttura di 120 persone, un bilancio di 11 milioni, grosse risorse da investire. No, non ci sono ipotesi di aggregazione in questo momento. I nostri associati non ne sentono il bisogno: nessuno me lo chiede».
E gli Amenduni delle acciaierie Valbruna andate a riprenderveli o non è un tema?
«I rapporti personali sono eccellenti e le porte sono aperte. Non ho altro da dire».
Sì, ma oltre a tener le porte aperte, andrà magari anche a suonare qualche campanello?
«L’associazione ha le porte aperte, ma i campanelli non li suoniamo».