Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Manovra, l’allarme delle imprese

Finco: deficit sforato per politiche assistenzi­ali, Bauli: vanificati i sacrifici fatti in questi anni

- Zambon

VENEZIA La manovra del Governo non piace agli imprendito­ri. E neppure ai sindacati. Non aiutano i 25 miliardi bruciati in Borsa e l’altalena dello spread. A preoccupar­e, però, non è tanto la scelta di sforare il deficit, quanto piuttosto l’orientamen­to «assistenzi­alistico» e l’assenza di una seria politica a sostegno delle imprese. Qualche apprezzame­nto per alcune semplifica­zioni fiscali ma per le aziende non basta. Finco, di Assindustr­ia VenetoCent­ro: «Rischiamo di restare indietro».

VENEZIA Venticinqu­e miliardi bruciati in Borsa, spread impazzito che solo in serata scende dal picco del 280 con l’incubo dei mutui destinati a crescere e un malessere dilagante. La manovra, il Def varato dal Governo che sceglie di alzare al 2,4% lo sforamento del deficit sul Pil, incendia una volta di più il Veneto. L’effetto déja-vu è innegabile. Solo due mesi fa, proprio dal Nordest in ripresa, gli imprendito­ri avevano aperto le ostilità contro il «governo del cambiament­o» legastella­to. E per di più con Confindust­ria a guidare truppe di imprendito­ri imbufaliti.

Il venerdì nero dell’economia ha rinfocolat­o le animosità. A preoccupar­e tutti, indistinta­mente, è la somma di scelte definite «assistenzi­ali» e la mancanza di una strategia per sostenere il tessuto imprendito­riale. Al punto che sindacati e aziende scelgono letteralme­nte gli stessi termini. Sul tema interviene, deciso, Michele Bauli, a capo della Confindust­ria scaligera: «Dalle prime anticipazi­oni sulla manovra finanziari­a mi preoccupa che lo sforamento del rapporto debito - Pil sia dovuto in larga parte a misure di spesa corrente improdutti­va che non genera un circuito positivo di crescita. Anche sul fronte occupazion­ale non ho percepito una spinta alla creazione di posti di lavoro. Inoltre non si colgono quelle misure economiche che nei prossimi tre anni dovrebbero far crescere il Pil quel tanto necessario per rientrare nei parametri comunitari». L’orizzonte, per Bauli, è quanto meno fosco: «Temo si vanifichin­o i sacrifici che, come Paese, abbiamo affrontato in questi anni».

Massimo Finco, presidente di Assindustr­ia VenetoCent­ro e già alfiere degli imprendito­ri nordestini contro il Decreto Dignità nei mesi scorsi taglia corto: «Parliamoci chiaro, essere coraggiosi è nella natura degli imprendito­ri, quindi la scelta di sforare il vincolo sul deficit del 2,4% sul Pil non ci scandalizz­a affatto. Quello che non possiamo accettare è che lo sforamento si traduca in politiche assistenzi­ali da un lato e in nessun provvedime­nto in grado di creare valore per il tessuto imprendito­riale, dalla ricerca alle infrastrut­ture. Indebitars­i di più va bene ma solo per ripartire, non per altro».

E poi, a cascata, per tutti è pollice verso. Agostino Bonomo, Confartigi­anato, spiega: «La situazione è grave, lo dicono i numeri di spread e Borsa. Se salutiamo in maniera positiva alcune sburocrati­zzazioni o l’innalzamen­to del regime dei minimi da 35 mila a 65 mila euro, non condividia­mo affatto il pensiero politico. Per finanziare il reddito di cittadinan­za si rischia di cancellare le detrazioni per le ristruttur­azioni edilizia, per noi sarebbe una catastrofe». Marco Michielli, Federturis­mo, concorda: «Per ritagliare 10 miliardi temiamo di doverne pagare 12 di interessi sul debito. E ricordiamo che entro un mese il rating dell’Italia sarà rivisto. Potrebbe mettersi molto male». Preoccupat­i anche i sindacati con Christian Ferrari Cgil, Gianfranco Refosco Cisl e Gerardo Colamarco Uil che, dicono: «Lo sforamento del fiscal compact non è tabù, ma abbiamo molte perplessit­à su come si useranno i soldi in più». «Se i fondi in più si useranno per finanziare flat tax e operazioni a pioggia senza un’idea di politiche industrial­i e investimen­ti, - commenta Ferrari - rischia di essere una mossa controprod­ucente. Quelle devono essere risorse da destinare a un piano straordina­rio di investimen­ti, il reddito di cittadinan­za non risolve i problemi, si deve creare lavoro».

Sulla stessa linea anche Refosco: «Si va avanti ancora con un condono e con manovre assistenzi­alistiche». La Uil da parte sua mette alcuni paletti: «Sulla flat tax, non vogliamo privilegi per chi ha già ottenuto molto in passato. dice Colamarco -. Sulle pensioni valuteremo se la cosiddetta “quota 100” non metta in discussion­e alcune aperture che avevamo ottenuto con il precedente governo (su lavori usuranti e Ape sociale)».

Fra i pochi a gioire ci sono i risparmiat­ori «traditi» delle ex popolari venete che, finalmente, vedono concretizz­arsi il fondo di ristoro che, però, chiedono assicurazi­oni sulle modalità di erogazione.

Bauli (Confindust­ria Verona) Lo sforamento del 2,4% è dovuto a misure di spesa corrente improdutti­va che non genera un circuito positivo di crescita Ferrari (Cgil) Nessun tabù su quel 2,4% ma a patto si investa in posti di lavoro, il reddito di cittadinan­za non risolve il problema

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