Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Vi racconto le prime rapine di Battisti»
Il ricordo di Cavallina, il suo ex capo. E Sabbadin piange: l’ho visto e ho pensato a mio padre
VENEZIA Nel giorno in cui Cesare Battisti arriva in Italia, il suo ex «capo» dei Pac, il veronese Arrigo Cavallina, ricorda gli esordi criminali di Battisti che, spiega, «era un delinquente di piccolo calibro, con me ha creduto di diventare un politico. Ora lo vedo arrogante e antipatico».
VENEZIA «Quando l’ho visto uscire dall’aereo il pensiero è corso a mio padre. E ho pianto». Adriano è il figlio di Lino Sabbadin, il macellaio ammazzato il 16 febbraio 1979 a Santa Maria di Sala, nel Veneziano. Porta il suo nome uno dei quattro ergastoli a cui è stato condannato Cesare Battisti. «Dopo tanti anni avevo perso la speranza che potesse essere catturato», racconta Adriano. Anche sua madre Amalia Spolaore ha visto in televisione quell’arrivo. «Il suo stato d’animo era alle stelle – racconta il figlio -. Questa cattura per me è una soddisfazione». Risveglia dolori e memorie, il ritorno in Italia dell’ex terrorista.
«Ogni tanto appare un fantasma dal passato che probabilmente non ha nessuna intenzione di seguirmi... Questo fantasma si chiama Cesare Battisti». Arrigo Cavallina vorrebbe abbassare la saracinesca della memoria. Lui - a differenza di Battisti - ha pagato con la galera, fino all’ultimo giorno di pena. Era il «capo» di Battisti, il veronese Arrigo Cavallina. Perno di quei Pac - i proletari armati per il comunismo - di cui, prima della dissociazione, fu uno dei fondatori. Sa, Cavallina, che non avrà mai l’espiazione della memoria. «Battisti di suo era un delinquente di non grande calibro. Con me ha creduto di diventare anche politico. I suoi atteggiamenti, in ogni apparizione, non facilitano un ragionamento sereno. Mi dispiace molto riconoscerlo, ma si mostra proprio antipatico e arrogante...». Si conobbero nel carcere di Udine, Cavallina e Battisti. Era il 1977 e Battisti in cella ci era finito per reati comuni. Cavallina lo iniziò ideologicamente ai Pac. La vita, poi, li ha portati su fronti opposti. Cavallina si dissociò dal terrorismo, fece anni di galera. Il suo percorso è stato quello cattolico e del volontariato in carcere. Dell’amicizia con quell’ex compagno che a differenza sua ha scelto la latitanza, non c’è traccia. «Si è incrinata quando l’ho visto cambiare, quasi rifugiandosi dietro a una maschera, forse per reggere ai traumi di quello che stavamo facendo e anche per l’influsso di nuovi entrati o simpatizzanti del gruppo...». Arrivò a Verona con Cavallina, Battisti. E con l’amore di due donne, che lo nascosero e lo coprirono. Era il 14 aprile 1978 quando Battisti prese parte per la prima volta a un’azione dei Pac in città. Lui e altri cinque entrarono in un ufficio postale con pistole, fucile e alcune bottiglie incendiarie. Portarono via oltre 5 milioni di lire. Un mese e tre giorni dopo un’altra rapina, in un supermercato. Seguivano una cadenza quasi «impiegatizia», i colpi dei Pac a Verona. Uno ogni mese e mezzo. Il 22 luglio 1978 rapinarono un altro supermercato. Oltre ai 5 milioni in cassa si fecero dare anche le 30mila lire che uno dei clienti aveva in mano per pagare. Cesare Battisti c’era anche il 7 agosto del ‘78, quando in sette - tutti armati si fecero consegnare quasi 7 milioni di lire in un ufficio postale a San Zeno. Passarono due mesi. E i Pac, a Verona, alzarono il tiro. Le rapine lasciarono il posto a un attentato. Il
24 ottobre 978, Cesare Battisti a altri due ferirono con tre colpi di pistola un agente del carcere e in città venne diffuso un volantino dal titolo inequivocabile: «Un serio avvertimento al tessuto carcerario di Verona».
Soldi e armi. Era soprattutto questo che i Pac andavano cercando a Verona. E Battisti, in quegli anni, non mancava mai. Entrò anche lui, il 15 dicembre
1978, nelle stanze della Polfer alla stazione di Porta Vescovo. Legarono il poliziotto di guardia e gli presero la Beretta d’ordinanza. Non santificavano le feste, i Pac. E tornarono alle rapine l’Epifania del 1979. Poco più di 7 milioni e mezzo alle poste di via Sangalli. Ma c’è un altro reato di cui Battisti è accusato a Verona. La detenzione di due Kalashnikov «con i quali scrive la corte d’appello di Milano nella condanna - si esercitavano al tiro all’interno di alcune grotte situate nei pressi della città». Esercitazioni che avevano un fine preciso: «impratichirsi nell’uso di dette armi» per l’omicidio di un sostituto procuratore meneghino, che non avvenne per uno dei tanti arresti nei quali incappò l’ormai ex latitante Cesare Battisti.
” Sabbadin Dopo tanti anni avevo perso la speranza che lo catturassero