Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Dopo Battisti, ora devono pagare anche i complici»

Il figlio di Sabbadin: «Giustizia fino in fondo». Schio: «Lo Stato trovi tutti i responsabi­li»

- Angiola Petronio Andrea Priante

VENEZIA Cesare Battisti dev’essere solo la prima «pedina» a cadere. La più importante, certo, anche per il valore simbolico. Ma l’esponente dei Pac non è l’unico ad aver compiuto la rapina che, il 16 febbraio 1979, portò all’omicidio del macellaio di Santa Maria di Sala, Lino Sabbadin.

Con lui, quel giorno, agirono Diego Giacomini, lo sparatore di Albignaseg­o, e la sua compagna Paola Filippi, di Brusegana, che fece da autista. Ma se l’uomo ha scontato la sua condanna e ora è tornato a vivere nel Padovano, dove lavora per una cooperativ­a, la complice non ha scontato un giorno, di quei 24 anni di carcere ai quali fu condannata in primo grado. Le ultime notizie la danno residente a Parigi (ha ottenuto la cittadinan­za francese), e lavora come interprete.

«È doveroso andare fino in fondo: la Giustizia deve fare il suo corso», dice Adriano Sabbadin, il figlio della vittima.

E allo stesso modo la vede Mirko Schio, poliziotto di Marghera gambizzato e costretto su una sedia a rotelle da 23 anni, che ha fondato un’associazio­ne che si batte per i feriti e le vittime della criminalit­à e del dovere. «Chi ha sbagliato deve pagare - dice lo Stato ha il dovere di fare tutto il possibile perché i colpevoli, compresi i complici di Battisti, scontino la condanna». Di fronte alla notizia dell’arresto del terrorista, Schio dice di non aver provato «nessuna gioia. Nessuna festa. È nell’ordine delle cose, sempliceme­nte avviene con molto ritardo. Non c’ spazio per alcun tipo di felicità, prima di tutto perché le vittime dei crudeli delitti commessi da Battisti restano tali e il dolore del lutto le accompagne­rà per sempre e non potrà mai essere sopito. E inoltre perché non c’è alcuna soddisfazi­one dettata da un desiderio di rivalsa». E la chiusa dell’ex poliziotto non lascia scampo. «Ora Battisti vada in carcere e vi rimanga per sempre, dal momento che deve scontare l’ergastolo e le vittime non potrebbero subire altri oltraggi, vedendolo magari uscire prima. E di lui non si parli più una volta per tutte».

La vede diversamen­te Arrigo Cavallina, fondatore di quei Pac che tennero a battesimo buona parte delle azioni violente e gli omicidi di cui è accusato Cesare Battisti. Ha scontato la sua pena e ora è un uomo libero. «Ma non mi sento di sostenere “come mi sono fatto il carcere io è giusto che se lo faccia anche lui” - spiega -. Per quello che ho letto e sentito, le persone colpite con più violenza negli affetti e nel corpo dai delitti dei Pac non hanno mai chiesto vendetta ma, molto civilmente, verità e giustizia. Non perché è ergastolo, ma perché è stabilito in sentenza, perché sia rispettata ed eseguita la sanzione decisa secondo le regole del nostro ordinament­o». Eppure, si chiede se il carcere sia davvero la soluzione: «Penso al valore educativo di attività prolungate nel tempo, per non dimenticar­e il dolore invece di seppellirl­o con chi lo ha provocato nel silenzio di una cella. Mi chiedo chi resterebbe danneggiat­o da una giustizia di riparazion­e».

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Il ricercato Cesare Battisti al suo arrivo in Italia, che ha posto fine alla lunga latitanza dell’uomo accusato anche dell’omicidio del macellaio veneziano Adriano Sabbadin

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