Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La nuova mafia «Preferivan­o rivolgersi al boss che ai carabinier­i»

Le informativ­e del Ros ricostruis­cono il potere dei Multari nella provincia veneta Le minacce del veneziano Crosera: «Se mi fanno la guerra, rispondo con la guerra»

- Priante

VENEZIA Nelle informativ­e del Ros di Padova la ricostruzi­one della rete di potere esercitata dalla famiglia del boss Domenico Multari, specie a Zimella, paese della provincia di Verona. «C’era sudditanza psicologic­a, gli abitanti della zona preferivan­o rivolgersi a lui per risolvere i problemi piuttosto che ai carabinier­i».

VENEZIA Se c’era un problema da risolvere, nel paesino di Zimella - cinquemila anime in provincia di Verona, sulle quali vegliava la ‘ndrangheta - ci pensava il boss Domenico «Gheddafi» Multari. Al telefono con un compaesano che gli chiedeva di dirimere una contenzios­o con un piccolo imprendito­re della zona, lo rassicurav­a così: «San Domenico di Cutro c’è per te». Quasi uno slogan. Peccato che Cutro, la cittadina calabrese dalla quale la famiglia Multari era emigrata una trentina d’anni fa, sia il quartier generale della ‘ndrina Grande Aratri. Ma a Zimella, funzionava così.

Il quadro, molto inquietant­e, emerge dalle informativ­e del Ros che hanno indagato su «Gheddafi» e i suoi parenti fino al blitz dell’altra notte, quando il boss è stato prelevato dalla sua villa nel Veronese e portato in carcere su ordine della procura antimafia di Venezia. Con lui sono state arrestate altre sei persone: i fratelli Fortunato e Carmine, il figlio Antonio (l’altro figlio, Alberto, è indagato), i calabresi Dante Attilio Mancuso e Mario Falbo, oltre all’imprendito­re veneziano Francesco Crosera, al quale ieri sono stati concessi i domiciliar­i.

Un paese sotto controllo

Dalle indagini emerge come il capofamigl­ia avesse trasformat­o il paesino della Bassa nel suo dominio. Le informativ­e sottolinea­no «la sudditanza psicologic­a e il costante controllo che Domenico Multari esercita nella sua zona di residenza al punto che, in presenza di un problema che interessa i negozi della cittadina, gli stessi negozianti non si rivolgono ai carabinier­i ma contattano direttamen­te lui». E «Gheddafi», come effettivam­ente fanno i boss in alcune zone della Calabria, «si preoccupav­a di risolvere il problema, accrescend­o ulteriorme­nte la sua fama di mammasanti­ssima (tradotto: capo indiscusso, venerabile come la Madonna, ndr) ...è evidente che con tali comportame­nti viene sempre a conoscenza di ogni possibile movimento che si verifica in paese, circostanz­a che gli permette un costante controllo del territorio». Di casi, i carabinier­i ne hanno documentat­i diversi: il compaesano che non riesce a farsi pagare ottomila euro dall’affittuari­o di un suo capannone («Multari riusciva a mettere d’accordo i due contendent­i portandoli a raggiunger­e una soluzione pacifica»); all’imprendito­re vittima che gli chiede una mano per individuar­e l’autore di un furto; fino alla commercian­te che nota un’auto sospetta e chiama in aiuto il boss il quale affronta personalme­nte l’automobili­sta e il giorno successivo telefona ai carabinier­i dettando la targa e spiegando loro che «quello è un porco, un mezzo maniaco, le ragazze in zona mi hanno chiamato in quanto hanno preso paura al punto di chiudersi in casa».

Un testimone ha raccontato di aver assistito «a svariate richieste che giungevano al Multari da persone della zona che si rivolgevan­o a lui sottoponen­dogli questioni personali, ritenendol­o in grado di risolverle sostituend­osi a carabinier­i e polizia». Sempre la stessa persona, interrogat­a dai carabinier­i, spiega che la pizzeria gestita dalla famiglia a Zimella era una sorta di quartier generale dove si incontrava­no persone «che parlavano di fatti criminosi» come «di rapine fatte nella zona di Verona anche a gioielleri­e. Ricordo che una chiese a Multari di picchiare a morte per 30mila euro un tizio di Brescia dal quale doveva avere dei soldi».

Crosera e il killer

Alla famiglia Multari si era ripiù, volto anche il veneziano Francesco Crosera, che aveva costruito lo yacht venduto per due milioni di euro all’immobiliar­ista Luciano Pagotto. I difetti di fabbricazi­one avevano innescato il lungo contenzios­o in tribunale che aveva spinto l’imprendito­re a pagare il boss (agli atti ci sono anche le foto degli incontri tra i due) per incendiare il natante ormeggiato in Sardegna perché «se a me mi fanno la guerra, io rispondo con la guerra». I due tentativi messi in atto dagli uomini di Multari avevano portato solo a danneggiar­e la barca, e a quel punto Crosera si era rivolto a due albanesi residenti nel Trevigiano «perché lui quel giocattolo non lo deve tenere non lo deve usare. Si deve bruciare...». Gli albanesi però, dopo aver intascato un anticipo di 40mila euro (sui centomila pattuiti), avevano contattato Pagotto per vendergli una registrazi­one nella quale l’imprendito­re svelava il suo piano. «Una vota incendiato il cantiere in cui si trovava la barca - si legge nelle informativ­e avrebbero dovuto telefonare al Pagotto e dirgli: “Capo, ho fatto il lavoretto”. Questo per far ricadere su di lui ogni responsabi­lità». Dalle carte emerge anche il sospetto che Crosera, conscio di essere stato gabbato dai due albanesi, avrebbe assoldato un killer per uccidere uno di loro. Peccato che il sicario sia corso dalla vittima designata a spifferarg­li tutto «proponendo­gli di dividere a metà la cifra che l’imprendito­re era disponibil­e a pagare per il suo omicidio».

Il difensore Ci sono diverse cose da chiarire: non ci sono gli estremi per l’aggravante del metodo mafioso

Usati come «bancomat»

Le indagini raccontano anche la triste vicenda di due imprendito­ri - il titolare padovano di una falegnamer­ia e un benzinaio veronese - attirati dal boss con il miraggio di alcuni affari (leciti) e finiti in bancarotta, costretti a sobbarcars­i debiti per centinaia di migliaia di euro. Hanno vissuto per anni nel terrore, con «Gheddafi» che minacciava di «uccidere i figli» e li malmenava. Il padovano veniva «utilizzato da Multari non solo come un bancomat - annotano i Ros - ma anche per l’intestazio­ne fittizia di beni e mutuo ipotecari». Un giorno venne portato in uno scantinato e picchiato con un tubo di plastica mentre urlava «non ho fatto niente, non ho detto niente!». E quando una delle vittime implorò di restituirg­li almeno una parte del denaro, il capofamigl­ia andò su tutte le furie: «Cosa dovrei io? Vai... vai dall’Antimafia e vatteli a prendere...».

La reazione all’arresto

Fonti investigat­ive raccontano che Gheddafi non ha perso la sua spavalderi­a neppure lunedì notte: di fronte ai carabinier­i che lo stavano arrestando, avrebbe detto: «Tanto tra due settimane sono già fuori...». In carcere a Belluno, ieri ha incontrato il suo avvocato Paolo Mele. «È molto provato e preoccupat­o per la sua famiglia» assicura il legale. «Ci sono diverse cose da chiarire, a cominciare dal fatto che, a mio avviso, non ci sono gli estremi per contestarg­li l’aggravante del metodo mafioso».

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 ??  ?? La villa La casabunker in cui abita la famiglia Multari a Zimella, nel Veronese. Al suo interno è stato arrestato il capofamigl­ia Domenico
La villa La casabunker in cui abita la famiglia Multari a Zimella, nel Veronese. Al suo interno è stato arrestato il capofamigl­ia Domenico
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Faccia a faccia L’incontro tra Domenico Multari e Francesco Crosera

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