Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Autonomia, la bozza e la rivolta
Il testo arriva in Consiglio dei ministri tra le proteste. Salvini: ora vertice con Conte e Di Maio
Il testo è arrivato al Consiglio dei ministri, ma dopo una giornata di proteste del Sud e un documento interno contrario dei Cinque Stelle. I nodi politici sono tanti e il percorso appare in salita.
VENEZIA Il ministro degli Affari regionali Erika Stefani porta in Consiglio dei ministri le bozze d’intesa per l’autonomia del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, rispetta il termine indicato a Natale dal premier Giuseppe Conte e dal vicepremier Matteo Salvini per la fine dell’istruttoria tecnica (ed anzi, lo anticipa di un giorno) ma l’iter della riforma invocata più di un anno fa da due milioni di veneti è ben lontano dall’essere concluso. Giorno dopo giorno, infatti, si fa più duro lo scontro con le Regioni non coinvolte nel processo federalista - quelle del Sud ma non solo - e si allarga la distanza tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle, che presenta agli alleati una sorta di «analisi costi benefici» (una ritorsione per la Tav?) che mette in croce il lavoro svolto fin qui da Stefani. La ministra prova a rassicurare tutti: «In settimana riconvochiamo il tavolo e nel giro di qualche giorno supereremo le ultime criticità». Ma nonostante San Valentino, il clima non è affatto rosa e fiori. E difatti Salvini annuncia: «La prossima settimana ci sarà un confronto politico tra me, Di Maio e Conte».
La questione va chiarita in fretta (si tratta solo di trovare la sintesi tecnico-burocratica o siamo di fronte ad una spaccatura politica?) perché su questo la Lega rischia di perdere la faccia al Nord e perché più volte lo stesso governatore Luca Zaia ha minacciato la caduta del governo nel caso in cui la riforma venisse insabbiata. «Abbiamo chiuso la fase tecnica su moltissime materie c’è l’accordo - ha detto Stefani all’uscita da Palazzo Chigi, dopo una riunione durata un’ora - restano però da sciogliere alcuni nodi politici, credo che riusciremo a farlo già la settimana
” Vincenzo De Luca Conduciamo una guerra per evitare il declino del Sud è mistificante dire che non saranno tolte risorse al Mezzogiorno
prossima per riportare il testo, stavolta definitivo, in Consiglio dei ministri e quindi sottoporlo ai presidenti di Regione per verificare il loro gradimento».
Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che mercoledì aveva chiamato a raccolta i colleghi per fermare la «secessione dei ricchi», non molla la presa: «Stiamo conducendo una guerra per impedire che il Sud abbia un destino di declino. È mistificante dire che non si leveranno i soldi al Mezzogiorno». Per il toscano Enrico Rossi «l’Italia non deve dividersi in staterelli, mettersi un vestito a toppe come Arlecchino», per il laziale Nicola Zingaretti «così si va verso la distruzione del Paese» (curiosamente, però, salva la proposta dell’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini, dem come lui e De Luca; Rossi è un ex). Nei partiti il cortocircuito è totale: il Pd veneto, infatti, si è schierato a favore dell’autonomia, mentre in Forza Italia, spaccata tra parlamentari del Nord e del Sud, prova a mediare faticosamente Silvio Berlusconi: «Siamo favorevoli ad una maggiore autonomia ma teniamo in grande considerazione le ragioni del Sud». Lo stesso accade in Fratelli d’Italia e nel Movimento Cinque Stelle, invitato dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris a mollare la Lega: «Devono rompere il contratto».
Si vedrà se i pentastellati arriveranno a tanto, nel frattempo una mano anonima fa filtrare una sorta di «contro analisi» della riforma, zeppa di elementi negativi: le regioni più ricche avranno maggiori trasferimenti a scapito di quelle più povere; si creeranno cittadini di serie A e serie B; il ruolo delle Camere è «a rischio, è assurdo che non possano formulare correzioni»; i fabbisogni standard vanno conteggiati in maniera corretta; si rischia una pioggia di ricorsi alla Corte costituzionale. «Non ci saranno cittadini di serie A e di serie B, chi dice queste cose non ha letto le bozze» replica Salvini mentre Stefani ribadisce che l’accordo raggiunto con il Tesoro e la Ragioneria di Stato prevede l’invarianza di spesa per lo Stato e l’assoluta neutralità per le casse delle Regioni estranee alle intese. «Voglio che questo
punto sia chiaro: non ci sarà alcuna penalizzazione. Si parte con i costi storici e poi si passerà ai fabbisogni standard, che sono da anni nel nostro ordinamento e già vengono applicati ai Comuni».
Sia Salvini che Stefani aprono invece al coinvolgimento del parlamento, soluzione che sembra possa rasserenare gli animi. Non è facile perché mai prima d’ora si è data attuazione all’articolo 116 e perché i costituzionalisti indicano come modello da seguire quello delle intese con le confessioni religiose, che una volta firmate non sono emendabili dalle Camere (un fatto ovvio: se cambiassero, infatti, dovrebbero essere ri-sottoposte ai firmatari e si ricomincerebbe tutto daccapo). «Tutti i ministri stanno dando il loro contributo - ha detto Salvini - Stiamo valutando come coinvolgere il parlamento». Conferma Stefani: «È giusto che le Camere siano informate e coinvolte prima della firma dell’intesa tra lo Stato e la Regione. Troveremo il modo».
I presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati si sarebbero già visti mercoledì nel tentativo di abbozzare una procedura.
” Erika Stefani
Dobbiamo ancora sciogliere i nodi politici, riusciremo a farlo già la settimana prossima per riportare il testo, stavolta definitivo, in Consiglio
Matteo Salvini
Non ci saranno cittadini di serie A e B, chilo dice non ha letto le bozze Tutti i ministri stanno dando il loro contributo alla riforma