Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
L’EMIGRAZIONE CRIMINALE
Che differenza passa tra Eraclea, Comune di 12mila abitanti affacciato sulla Laguna di Venezia, noto per le sue spiagge e per essere una località di villeggiatura e Casal di Principe, provincia di Caserta, con il doppio degli abitanti, e più tristemente noto per essere terra di camorra e di criminalità? Stando alle cronache di queste ore, poche. E se aggiungiamo che anche il primo cittadino del centro veneto è finito sotto accusa per voto di scambio, l’accostamento si spiega . E rattrista. La sensazione è di un’Italia capovolta, dove il potere di penetrazione che le organizzazioni criminali hanno sul territorio nazionale è fortissimo. E le carte, oltre mille pagine, dell’indagine veneziana sulla camorra veneta sono una conferma.
Ci troviamo di fronte un’emigrazione criminale in piena regola. Si sceglie un luogo, in questo caso Eraclea. Si decide di metter radici. E, ovviamente, si esporta il modello criminale, con gli annessi e connessi. Ecco, a occhio e croce, ciò che i magistrati della Dda di Venezia e le forze dell’ordine hanno scoperto ieri. Perché proprio il Veneto? È la Dia nella sua ultima relazione semestrale alle Camere a rispondere: «Il Veneto è caratterizzato da un tessuto economico e imprenditoriale molto sviluppato. Sul territorio si registra, infatti, la capillare presenza di piccole e medie imprese, la cui esistenza e prosperità sono correlate anche a importanti snodi di comunicazione, quali il porto di VeneziaMarghera e gli aeroporti internazionali
Venezia-Marco Polo e Verona-Valerio Catullo. La ricchezza diffusa costituisce, pertanto, una potenziale attrattiva per la criminalità mafiosa, principalmente interessata a riciclare e reinvestire capitali illeciti».
E questo ragionamento lo avranno fatto anche quei camorristi che hanno deciso di arrivare a queste latitudini negli anni ’90. Una decisione saggia e illuminata (eufemisticamente parlando) se si considera l’offensiva dello Stato contro i casalesi cominciata dopo la strage di immigrati africani a Castel Volturno (Caserta) del 18 settembre
2008 ad opera del boss Giuseppe Setola e dei suoi accoliti.
Un attacco in piena regola al clan che ha consentito allo Stato di intaccare gli ingenti capitali a disposizione della cosca: soldi frutto delle estorsioni a commercianti e imprenditori, del provento del traffico di droga e, soprattutto degli appalti, milionari. Dentro i quali l’organizzazione è sempre riuscita a piazzare ditte amiche e compiacenti o a subentrare con la forza delle intimidazioni e con violenza a quelle che legittimamente avevano diritto a lavorare.
Un depauperamento e un martellamento che pian piano ha portato all’arresto di potenti boss della cupola casertana, ovvero Michele Zagaria, Giuseppe Setola, Antonio Iovine e tanti altri. Arresti, sequestri di beni e confische che non hanno però intaccato minimamente il potere criminale ed economico di quel «mostro» chiamato Gomorra. Anzi.
Quel cancro della nostra società era già emigrato, e da diverso tempo, oltre il Rubicone. E ancora oltre. Superando il Po e approdando in Veneto.
Tutto previsto? Tutto calcolato? È molto verosimile. E se dalle parti di Caserta, boss e gregari sono finiti dietro le sbarre, le nuove generazioni e i «sopravvissuti» alle manette erano già altrove a ricreare quel modello criminale che ha fatto le fortune della cosca: le estorsioni, il controllo del traffico di droga e il «core business» del clan: gli appalti. In questo caso i mafiosi si sono travestiti da imprenditori e hanno avuto la capacità di ripulirsi dal sangue dei morti ammazzati. Hanno indossato giacca e cravatta e sono riusciti a giungere laddove i capitali arrivano in maniera pulita. Hanno coinvolto imprenditori locali spregiudicati per i quali «i soldi non puzzano».
Hanno stretto patti scellerati con la politica per mettere i propri uomini nei posti che contano, come nel caso del sindaco di Eraclea, che per farsi eleggere è sceso a compromessi con dei criminali. Hanno, insomma, ricreato quell’economia «apparentemente legale», per dirla con le parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, che in realtà è sempre più infiltrata e inquinata dal reinvestimento delle mafie.
Una «casalesizzazione» del Veneto, che per fortuna, è stata bloccata ieri dall’operazione della Dda veneziana.