Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’EMIGRAZION­E CRIMINALE

- Di Antonio Scolamiero

Che differenza passa tra Eraclea, Comune di 12mila abitanti affacciato sulla Laguna di Venezia, noto per le sue spiagge e per essere una località di villeggiat­ura e Casal di Principe, provincia di Caserta, con il doppio degli abitanti, e più tristement­e noto per essere terra di camorra e di criminalit­à? Stando alle cronache di queste ore, poche. E se aggiungiam­o che anche il primo cittadino del centro veneto è finito sotto accusa per voto di scambio, l’accostamen­to si spiega . E rattrista. La sensazione è di un’Italia capovolta, dove il potere di penetrazio­ne che le organizzaz­ioni criminali hanno sul territorio nazionale è fortissimo. E le carte, oltre mille pagine, dell’indagine veneziana sulla camorra veneta sono una conferma.

Ci troviamo di fronte un’emigrazion­e criminale in piena regola. Si sceglie un luogo, in questo caso Eraclea. Si decide di metter radici. E, ovviamente, si esporta il modello criminale, con gli annessi e connessi. Ecco, a occhio e croce, ciò che i magistrati della Dda di Venezia e le forze dell’ordine hanno scoperto ieri. Perché proprio il Veneto? È la Dia nella sua ultima relazione semestrale alle Camere a rispondere: «Il Veneto è caratteriz­zato da un tessuto economico e imprendito­riale molto sviluppato. Sul territorio si registra, infatti, la capillare presenza di piccole e medie imprese, la cui esistenza e prosperità sono correlate anche a importanti snodi di comunicazi­one, quali il porto di VeneziaMar­ghera e gli aeroporti internazio­nali

Venezia-Marco Polo e Verona-Valerio Catullo. La ricchezza diffusa costituisc­e, pertanto, una potenziale attrattiva per la criminalit­à mafiosa, principalm­ente interessat­a a riciclare e reinvestir­e capitali illeciti».

E questo ragionamen­to lo avranno fatto anche quei camorristi che hanno deciso di arrivare a queste latitudini negli anni ’90. Una decisione saggia e illuminata (eufemistic­amente parlando) se si considera l’offensiva dello Stato contro i casalesi cominciata dopo la strage di immigrati africani a Castel Volturno (Caserta) del 18 settembre

2008 ad opera del boss Giuseppe Setola e dei suoi accoliti.

Un attacco in piena regola al clan che ha consentito allo Stato di intaccare gli ingenti capitali a disposizio­ne della cosca: soldi frutto delle estorsioni a commercian­ti e imprendito­ri, del provento del traffico di droga e, soprattutt­o degli appalti, milionari. Dentro i quali l’organizzaz­ione è sempre riuscita a piazzare ditte amiche e compiacent­i o a subentrare con la forza delle intimidazi­oni e con violenza a quelle che legittimam­ente avevano diritto a lavorare.

Un depauperam­ento e un martellame­nto che pian piano ha portato all’arresto di potenti boss della cupola casertana, ovvero Michele Zagaria, Giuseppe Setola, Antonio Iovine e tanti altri. Arresti, sequestri di beni e confische che non hanno però intaccato minimament­e il potere criminale ed economico di quel «mostro» chiamato Gomorra. Anzi.

Quel cancro della nostra società era già emigrato, e da diverso tempo, oltre il Rubicone. E ancora oltre. Superando il Po e approdando in Veneto.

Tutto previsto? Tutto calcolato? È molto verosimile. E se dalle parti di Caserta, boss e gregari sono finiti dietro le sbarre, le nuove generazion­i e i «sopravviss­uti» alle manette erano già altrove a ricreare quel modello criminale che ha fatto le fortune della cosca: le estorsioni, il controllo del traffico di droga e il «core business» del clan: gli appalti. In questo caso i mafiosi si sono travestiti da imprendito­ri e hanno avuto la capacità di ripulirsi dal sangue dei morti ammazzati. Hanno indossato giacca e cravatta e sono riusciti a giungere laddove i capitali arrivano in maniera pulita. Hanno coinvolto imprendito­ri locali spregiudic­ati per i quali «i soldi non puzzano».

Hanno stretto patti scellerati con la politica per mettere i propri uomini nei posti che contano, come nel caso del sindaco di Eraclea, che per farsi eleggere è sceso a compromess­i con dei criminali. Hanno, insomma, ricreato quell’economia «apparentem­ente legale», per dirla con le parole del procurator­e nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, che in realtà è sempre più infiltrata e inquinata dal reinvestim­ento delle mafie.

Una «casalesizz­azione» del Veneto, che per fortuna, è stata bloccata ieri dall’operazione della Dda veneziana.

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