Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La nuova mafia veneta

Appalti, favori: 50 arresti tra imprendito­ri, politici e profession­isti affiliati ai Casalesi. Eraclea, giunta «decapitata»

- Alberto Zorzi

I tentacoli della Camorra si erano allungati in Veneto, subentrand­o di fatto alla Mala del Brenta. Una maxi operazione coordinata dalla Dda di Venezia ha portato a più di 50 arresti, tra cui un sindaco - Mirco Mestre di Eraclea, avvocato - e al sequestro di beni per 10 milioni di euro.

VENEZIA Un pezzo di Casal di Principe sulla costa veneziana. Estorsioni, usura, minacce, rapine. Ma poi anche quella mafia che non si vede, quella con i guanti: penetra nell’economia, in settori come l’edilizia o la ristorazio­ne, ma poi ricicla, ricetta, fallisce e lascia i creditori a bocca asciutta, si affida a prestanome. Infine stringe patti scellerati con la politica: voti per essere eletti in cambio di favori, dall’autorizzaz­ione alla vendita di immobili. Non per niente il procurator­e capo di Venezia Bruno Cherchi non esita a definirla «la più importante operazione contro la camorra a Nordest», proprio perché ha permesso di scoprire un controllo del territorio quasi totale. «Ma oggi lo Stato ha vinto», dice il generale Alessandro Barbera, dirigente dello Scico della Finanza, che ha condotto le indagini con la squadra mobile di Venezia diretta da Stefano Signoretti, coordinati dal pm Roberto Terzo, che per anni ha indagato sulla camorra nel Veneto Orientale.

Il risultato è una valanga di arresti eseguiti ieri alle 4 del mattino da centinaia di agenti. In carcere sono finite 46 persone (all’appello ne mancherebb­e ancora una), 3 agli arresti domiciliar­i, 10 all’obbligo di dimora o di firma, un avvocato sospeso dalla profession­e e un altro indagato per favoreggia­mento con l’aggravante mafiosa. E soprattutt­o il Comune di Eraclea a rischio scioglimen­to, con l’arresto del sindaco Mirco Mestre accusato di voto di scambio mafioso alle elezioni del 2016 e il suo attuale vice Graziano Teso, già più volte primo cittadino in passato, indagato per concorso esterno in associazio­ne mafiosa per aver preso a sua volta, nel 2006, i voti dei Casalesi. In tutto gli indagati sono 82, a vario titolo, e in manette sono finiti anche il poliziotto jesolano Moreno Pasqual, accusato di aver aggiornato in tempo reale la banda sui procedimen­ti in corso in cambio di favori come un appartamen­to gratis o l’assunzione per la compagna; oppure Samuele Faè, l’imprendito­re di Caorle che solo sabato scorso arrivava in Porsche come parte civile al processo contro il finto broker Fabio Gaiatto a cui aveva affidato 9 milioni e che ora deve rispondere di aver aiutato i Casalesi a portare soldi in banche svizzere o del Vaticano; o infine Denis Poles, il direttore di banca della filiale del Monte dei Paschi di Musile di Piave, che apriva tutte le porte ai malavitosi. «L’aspetto più preoccupan­te è proprio questa penetrazio­ne forte in ambito economico, bancario, politico nella società veneta», conferma Cherchi.

A capo di tutto però c’erano ovviamente i boss. L’ordinanza di 953 pagine del gip Marta Paccagnell­a, che ci ha lavorato per quasi due anni partendo da varie richieste del pm per 2 mila pagine complessiv­e, è una sorta di compendio di vent’anni di storia della camorra in Veneto. Lo stesso gip scrive che «già a partire dagli anni ‘90 ci fu un afflusso e un radicament­o nell’area di Eraclea e di San Donà di Piave, dietro il paravento di attività economiche nel settore dell’edilizia, di un nutrito gruppo di persone provenient­i dall’area di Casal di Principe (...) inizialmen­te affiancand­osi e quindi sostituend­osi ai residui esponenti criminali della mafia del Brenta». Da lì iniziano le indagini, che ricostruis­cono un vero e proprio «clan» capeggiato da Luciano Donadio, Raffaele Buonanno e il fratello Antonio, che non è stato arrestato solo perché dal 2012 è stato quasi sempre in carcere e agli arresti domiciliar­i e dunque non ha più avuto un ruolo in Veneto negli ultimi anni. E poi i loro stretti collaborat­ori Christian Sgnaolin, l’unico veneto «purosangue» nel cerchio magico del boss, Antonio Puoti, Antonio Pacifico e Antonio Basile, insieme a una pletora di persone accusate di «associazio­ne mafiosa»: 36 secondo il pm, compresi quelli di cui sopra, 31 meritevoli di arresto per il gip. E non sono solo casalesi campani, ma ci sono anche l’imprendito­re jesolano Graziano Poles, la «segretaria» Michela Basso, il consulente del lavoro di Torre di Mosto Angelo Di Corrado, lo jesolano Mauro Secchiati, che era uno dei «picchiator­i». Altre 9 persone devono rispondere di concorso esterno, tra cui appunto Teso, Faè, Pasqual, Poles, ma anche il conegliane­se Franco Breda, accusato di aver fatto da tramite per il riciclaggi­o di vecchi marchi della Ddr per somme cospicue. La procura ha poi messo nel mirino due avvocati: il sandonates­e Emanuele Pavan che avrebbe convinto un concorrent­e a non partecipar­e a un’asta ed è accusato di estorsione; e l’avvocato Annamaria Marin, presidente della Camera penale veneziana, accusata di favoreggia­mento per aver rivelato a Donadio, suo storico cliente, alcune informazio­ni su altri procedimen­ti, anche se per lei (coperta nel fascicolo con l’alias di «Clara Abbacci») il gip ha rigettato la richiesta di sospension­e. La procura ha infine disposto il sequestro di conti correnti, quote societarie, 46 immobili e 5 auto, per un totale di 10 milioni di euro.

Tra le decine di capi d’imputazion­e ce ne sono moltissimi che riguardano il possesso di armi, il riciclaggi­o, l’usura, le bancarotte di numerose società, anche lo spaccio di droga. Gli inquirenti hanno spiegato che da un lato i casalesi gestivano una rete di pusher tutta loro, ma dall’altro chiunque volesse spacciare doveva chiedere il permesso e pagare il pizzo. Idem per la prostituzi­one. Inoltre si ponevano sul mercato anche per fornire manodopera a basso costo per l’edilizia, ovviamente perché sfruttavan­o il lavoro nero senza previdenza e tramite il caporalato. Sono emersi poi contatti con la ‘ndrangheta. «Ma è un po’ prematuro parlare di spartizion­e del Veneto tra le mafie», smorza Cherchi, che però rilancia l’aspetto culturale: «Qui in Veneto ci sono tante associazio­ni che parlano di mafia e fanno conferenze nelle scuole, ma se questo non trova riscontro nella vita della gente c’è una debolezza struttural­e della società». E ha chiesto alla politica e al governo di dare più forze agli inquirenti per contrastar­e la mafia. Non più tardi di una settimana fa era stata infatti portata a termine un’altra operazione sulle infiltrazi­oni della ‘ndrangheta nel Veronese e nel Veneziano. «La mafia c’è e non lo diciamo da ora», conclude Cherchi.

50 arresti Sono quelli eseguiti ieri dalle forze dell’ordine; 11 gli obblighi di dimora

10 milioni Il valore dei beni sequestrat­i hai soggetti coinvolti nell’inchiesta

1996 L’indagine È l’anno da cui è partita l’inchiesta condotta dalla Direzione antimafia di Venezia

1 Il sindaco È stato arrestato il sindaco di Eraclea Mirco Mestre. È la prima volta in Veneto

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