Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il baby jihadista chiede permessi, sì del carcere

Chiesto il primo permesso premio. «Piango per i miei errori»

- Andrea Priante

VENEZIA Due anni fa voleva far saltare in aria il ponte di Rialto, ora ha scritto un libro: «Un fiore fra le pietre» che è arrivato in finale al premio letterario per detenuti. Lui è l’ex babyjihadi­sta che ha chiesto un permesso. Sì del carcere: «È cambiato»

VENEZIA «Mi sento bene e ho capito che il tempo di cambiare la mia vita è nella mia testa, nel sudore della mia fronte, nelle mani con cui lavoro...». È un passo del racconto intitolato «Un fiore tra le pietre», finalista all’ultima edizione del Premio letterario Carlo Castelli, riservato ai detenuti delle carceri italiane.

L’autore - premiato con 600 euro e l’adozione a distanza di un bimbo del Terzo Mondo – si firma sempliceme­nte «Ali». Uno pseudonimo dietro il quale si nasconde il baby-terrorista che due anni fa voleva far saltare in aria il ponte di Rialto con la complicità di tre kosovari. Una cellula jihadista composta da insospetta­bili camerieri che vivevano nello stesso appartamen­to a due passi da piazza San Marco e trascorrev­ano le ore pregando e guardando sul computer i video dello Stato Islamico.

Arjan – questo il suo vero nome - era l’unico minorenne del gruppo. Ma era anche il più deciso a realizzare un attentato nel cuore della città, come quando - dopo le stragi jihadiste in Turchia - venne intercetta­to mentre confidava agli amici: «Mi sono sentito molto soddisfatt­o, adesso dobbiamo dare a San Marco» .

” L’avvocato Ora sogna un lavoro onesto Di certo non tornerà in Veneto

Era fiducioso: «Noi qua in 3-4 giorni facciamo uno Stato Islamico».

Arrestato dall’antiterror­ismo quando aveva appena 17 anni, sta scontando la condanna a tre anni e otto mesi nel carcere minorile di Cagliari: con la buona condotta, tornerà libero il prossimo inverno. Ma intanto il ragazzino, difeso dall’avvocato Federica Atzeni, ha chiesto per la prima volta un permesso premio. Vorrebbe uscire di prigione, anche se solo per qualche ora da trascorrer­e in una comunità, lì in Sardegna. Il giudice deve ancora esprimersi, ma pare abbia buone possibilit­à. In suo favore, ci sono le ultime relazioni del Dipartimen­to per la giustizia minorile. Le prime lo descriveva­no come un fanatico: pregava sempre e rifiutava di partecipar­e «a momenti di conviviali­tà musicale (la musica è peccato, ndr) o ad altre forme di divertimen­to occidental­i» assieme agli altri detenuti. Ma poi, con il trascorrer­e dei mesi, il suo atteggiame­nto è mutato. Le nuove schede compilate dal carcere, parlano di un ragazzo che «comincia ad avere relazioni adeguate alla sua età», «aderisce al progetto» di recupero e «partecipa a tutti i laboratori». In prigione s’è messo a studiare, ottenendo la licenzia media.

«È completame­nte cambiato - assicura l’avvocato Atzeni – e ora sogna soltanto di trovare un lavoro onesto e di riabbracci­are la mamma. Probabilme­nte, una volta libero, tornerà in patria. Di certo non ha alcuna intenzione di rimettere piede in Veneto».

Cresciuto a Galluboc, nei Balcani, appena quindicenn­e era fuggito in Italia in seguito a un litigio con il padre, un maestro in pensione. Arrivato a Venezia aveva conosciuto Arjan Babaj, considerat­o il leader spirituale della cellula jihadista veneziana. In breve tempo era andato a vivere con lui e con altri due connaziona­li che studiavano manuali su come costruire una bomba e se ne uscivano con frasi come: «La miglior bevanda è il sangue degli infedeli».

Ma quello è il suo passato. Il futuro, invece, è ancora tutto da scrivere. «Potrei fare il pizzaiolo ma anche il presidente della repubblica del Kosovo», scherzava un anno fa il babyterror­ista, parlando a un giornalist­a del Corriere che stava realizzand­o un reportage all’interno del carcere minorile.

«È estremamen­te intelligen­te – lo descrive il suo difensore – e parla un italiano perfetto. È molto orgoglioso di aver vinto quel premio letterario».

Il racconto parla di un ragazzino che finisce in prigione: «Piangevo così tanto, chiamando il mio Dio e chiedendog­li aiuto. Potevo ancora scegliere? Come rendere migliore la mia vita? Col tempo qualcosa è cambiato, perché ho capito di aver sbagliato. Mi sono guardato allo specchio, ho rivisto la mia faccia e mi ha reso felice proprio perché stavo piangendo per i miei errori. E questa era la prima volta in cui il mio dolore era vero».

Il racconto Qualcosa è cambiato perché ho capito di aver sbagliato

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A In kosovaro arrestato anni destra carcere con Arjan, a 17 il l’accusa parte della di far cellula jihadista di Venezia. A sinistra, controlli antiterror­ismo in piazza San Marco archivio) (Foto
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