Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Ti lascio i referti, provano le botte casomai sparissi» Trovata morta

Venezia, era malata da tempo. Il marito, imbottito di psicofarma­ci ma ancora vivo

- Petronio

VERONA È un epilogo triste quello della storia di Natasha Chokobok, la giovane ucraina il cui corpo è stato ritrovato ieri senza vita in riva all’Adige. Sul corpo della ventinoven­ne non è stata rinvenuta alcuna traccia di violenza e tutto fa pensare a un suicidio legato, forse, alle violenze del compagno

VENEZIA Una coltellata, dopo aver trascorso mezzo secolo fianco a fianco.

L i c i a Z a mbon e Re n a to Berta vivevano in un appartamen­to al secondo piano di un condominio che si affaccia sulle mura dell’Arsenale, nel sestiere di Castello, a Venezia. Zona popolare, di panni stesi alle finestre e di calli strette. Un discount, un’edicola, qualche bar per i turisti che si spingono oltre le solite mete di piazza San Marco e Ponte di Rialto. Lì, in camera da letto, Renato ha ucciso Licia piantandol­e un coltello nel petto. Poi ha scritto poche parole su un foglio bianco, l’ha appeso alla porta, e infine si è imbottito di pillole, probabilme­nte nel tentativo di togliersi la vita. Ora è in un letto del reparto di Rianimazio­ne dell’ospedale, in gravi condizioni.

Ottantadue anni lei, casalinga; ottantacin­que lui, buona parte dei quali trascorsi al lavorare per il Comune di Venezia. Tre figli che in quella casa ci sono cresciuti - Chiara, Nicola ed Elisabetta, oggi vivono tra Mestre e Marghera - un cane che Renato portava a passeggio tutte le mattine, quando passava in edicola a prendere il giornale. E un nemico, che nell’ultimo anno aveva trasformat­o Licia. «Era malata, quasi mai lucida. Come “assente”. E lui si prendeva costanteme­nte cura della moglie», racconta un vicino di casa. «Lo conosco da quarant’anni - spiega - perché anch’io lavoravo per il Comune. Un brav’uomo, non avrei mai pensato potesse farle del male. Ma negli ultimi mesi, la malattia di Licia stava piegando pure lui...».

Il delitto è stato scoperto ieri mattina anche se, stando al medico legale, risalirebb­e alla mezzanotte. A trovare i due anziani è stata la badante che da qualche tempo lavorava per loro. È arrivata intorno alle dieci, come ogni giorno, ma ieri nessuno ha risposto al citofono. Un condomino l’ha riconosciu­ta mentre passeggiav­a avanti e indietro nel v i ot to l o c he co nduce a l l a cancellata del condominio, e le ha aperto. Quando la donna ha raggiunto la porta dell’appartamen­to, ci ha trovato affisso un foglio con su scritto: «Non aprire. Chiamate la polizia». È stata lei a fare il 1 1 3 e i n p o c h i mi n u t i g l i agenti erano sul posto. Il corpo senza vita di Licia Zambon era steso sul letto. Accanto c’era il marito, che aveva già perso conoscenza a causa degli psicofarma­ci che aveva assunto.

Renato Berta ora è in ospedale in stato di fermo perché sospettato di omicidio: quando si riprenderà, sarà interrogat­o dagli investigat­ori della squadra mobile di Venezia, che ieri hanno passato l’intera giornata nella casa per ricostruir­e quanto accaduto anche con l’aiuto della Scientific­a. L’ipotesi degli investigat­ori è che il pensionato non abbia agito al culmine di una lite, bensì che il delitto sia il tragico epilogo di una sofferenza che stava vivendo da tanto tempo e che non riusciva più ad affrontare.

La coppia abitava in quella palazzina fin da quando era stata costruita, cinquant’anni fa. I vicini non hanno molta voglia di parlare e se lo fanno chiedono di restare anonimi, come avessero pudore di raccontare in che modo la disperazio­ne che si respirava in quella casa abbia avuto il sopr a v ve nto . « S ono s e mpre stati una famiglia tranquilla - raccontano - anche se ultimament­e li si sentiva spesso

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Gli agenti La polizia sul canale nel retro dell’abitazione in cui, ieri mattina, è stato ritrovato il corpo senza vita di Licia Zambon

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