Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«IL VENETO RISCHIA LA RETROCESSIONE»
I migranti, la Cina, l’Europa «buona» che traina l’export Parla l’ex ministro candidato nel cuore produttivo d’Italia
«Oggi l’Italia gioca in serie A in Europa. Con Salvini e Di Maio finisce dritta in serie C. Autonomia, economia: i dati di fatto parlano chiaro». Così Carlo Calenda.
Carlo Calenda, lei, romano, guida la lista Pd-Siamo Europei a Nordest. Disse che sarebbe venuto a vivere in Veneto durante la campagna elettorale. L’ha fatto davvero?
«Certo. Il mio quartier generale è l’hotel Europa a Padova». È stato candidato qui perché, da ex ministro dello Sviluppo
economico, il Pd confida nel suo feeling con gli imprenditori. Che però votano Lega.
«Molti mi dicono: “Avete fatto tanto per le imprese, questi non fanno niente, ma io la croce su Pd non la metterò mai”. È un ragionamento ideologico che contrasta con la concretezza che tutti riconoscono ai veneti. Possiamo avere un’etica nel lavoro e in famiglia ed un’altra nella vita pubblica? Vanno giudicati i fatti. Salvini è il capolista della Lega, ma già sappiamo che non andrà in Europa. Chi assumerebbe in azienda uno che al colloquio ti avverte subito: “Se mi dai il posto, poi non vengo a lavorare”? È il voto a determinare la serietà di chi ci rappresenta».
I dati economici negativi e lo stallo sull’autonomia vi favoriranno?
«Dovrebbero. Abbiamo davanti il Governo più assistenzialista degli ultimi trent’anni, che scommette 133 miliardi di spesa pubblica in più, aumenta le tasse, diminuisce l’occupazione, taglia gli investimenti e continua a promettere cose che non farà mai. Pensiamo alla flat tax: Salvini l’aveva già promessa e non l’ha fatta. Gli si può credere? Intanto nazionalizzano Alitalia. Quanto all’autonomia, tutti sanno che a Salvini non gliene frega più niente perché il suo obiettivo e prendere i voti al Sud».
Da sinistra dicono che lei è troppo di destra, un uomo dell’establishment.
«Che fesseria. Lavoro da quando avevo 18 anni, ho scelto un settore distante da quello della mia famiglia, mi sono fatto un gran mazzo lavorando sempre nel privato. Poi ho
scelto il pubblico, risolvendo 88 crisi industriali e salvaguardando 100 mila posti di lavoro. L’Italia ha bisogno di lavoro, competenze e investimenti. Destra? Sinistra? Per me stanno a zero».
Dite che l’Europa «così non va». Ma in Europa, finora, avete governato voi, le grandi famiglie del Pse e del Ppe. Il Pd nel 2014 stravinse.
«Abbiamo ottenuto grandi risultati: per la prima volta la Commissione ha concesso a chi investe e fa le riforme di derogare al Patto di stabilità fino allo 0,75% del Pil, la famosa flessibilità. Abbiamo chiuso gli accordi commerciali con il Canada e il Giappone e bloccato lo status di “economia di mercato” per la Cina, che avrebbe distrutto la nostra industria». Dunque che c’è da cambiare?
«Tante cose in Europa ancora non funzionano ma sono quelle che afferiscono agli Stati nazionali. Pensiamo ai migranti, una competenza che non è dell’Unione ma dei singoli Paesi, anche per volontà dell’Italia: è chiaro che i confini non possono essere aperti a tutti, le migrazioni vanno gestite in Africa, ma per farlo servono soldi per la coooperazione, occorre la collaborazione di tutti gli Stati dell’Ue. Certo, se poi non si va al Consiglio d’Europa, come ha fatto Salvini disertando 5 riunioni su 6, è difficile ottenere qualcosa. L’Europa che funziona è quella che si è compiuta fino in fondo, come per la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. Oggi l’Italia e il Veneto esportano 250 miliardi di beni nel mercato unico». Una volta eletti, gli europarlamentari italiani riusci
ranno a togliersi la maglia del club per indossare quella della nazionale?
«L’hanno fatto anche nella scorsa legislatura, perché ai partiti italiani dell’Europa non frega nulla, dunque gli europarlamentari sono più liberi e si lavora meglio». Ma non ci sono italiani che contano nei ruoli chiave.
«Infatti dobbiamo lavorare di più e meglio nella Commissione, seguendo e promuovendo le carriere dei direttori e dei vice direttori, che contano ben più dei ruoli politici».
Lei pensa che nell’elettorato sia cresciuta la consapevolezza dell’importanza dell’Europa? La vicenda delle banche popolari, in Veneto, è servita a molti, un brusco risveglio.
«Non so, in questa campagna elettorale si è parlato di tutto tranne che dei temi europei. Oggi l’Italia gioca in serie A, grazie ai nostri nonni e ai nostri bisnonni siamo tra i fondatori dell’Unione. Sfidiamo Francia e Germania ed è normale sia dura, lo è sempre ai massimi livelli. Da un anno, invece, giochiamo in serie C con Ungheria e Polonia, che ci rubano i fondi europei e i posti lavoro, vogliono l’austerity e respingono i migranti. Non abbiamo alcun interesse coincidente con loro, gli amici di Salvini. Ecco col voto di domenica il Nordest deciderà se restare in serie A o retrocedere».
Dall’autonomia all’economia in picchiata, i veneti stiano ai fatti. E gli imprenditori siano coerenti: assumerebbero mai Salvini nella loro azienda?