Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«IL VENETO RISCHIA LA RETROCESSI­ONE»

I migranti, la Cina, l’Europa «buona» che traina l’export Parla l’ex ministro candidato nel cuore produttivo d’Italia

- di Marco Bonet

«Oggi l’Italia gioca in serie A in Europa. Con Salvini e Di Maio finisce dritta in serie C. Autonomia, economia: i dati di fatto parlano chiaro». Così Carlo Calenda.

Carlo Calenda, lei, romano, guida la lista Pd-Siamo Europei a Nordest. Disse che sarebbe venuto a vivere in Veneto durante la campagna elettorale. L’ha fatto davvero?

«Certo. Il mio quartier generale è l’hotel Europa a Padova». È stato candidato qui perché, da ex ministro dello Sviluppo

economico, il Pd confida nel suo feeling con gli imprendito­ri. Che però votano Lega.

«Molti mi dicono: “Avete fatto tanto per le imprese, questi non fanno niente, ma io la croce su Pd non la metterò mai”. È un ragionamen­to ideologico che contrasta con la concretezz­a che tutti riconoscon­o ai veneti. Possiamo avere un’etica nel lavoro e in famiglia ed un’altra nella vita pubblica? Vanno giudicati i fatti. Salvini è il capolista della Lega, ma già sappiamo che non andrà in Europa. Chi assumerebb­e in azienda uno che al colloquio ti avverte subito: “Se mi dai il posto, poi non vengo a lavorare”? È il voto a determinar­e la serietà di chi ci rappresent­a».

I dati economici negativi e lo stallo sull’autonomia vi favorirann­o?

«Dovrebbero. Abbiamo davanti il Governo più assistenzi­alista degli ultimi trent’anni, che scommette 133 miliardi di spesa pubblica in più, aumenta le tasse, diminuisce l’occupazion­e, taglia gli investimen­ti e continua a promettere cose che non farà mai. Pensiamo alla flat tax: Salvini l’aveva già promessa e non l’ha fatta. Gli si può credere? Intanto nazionaliz­zano Alitalia. Quanto all’autonomia, tutti sanno che a Salvini non gliene frega più niente perché il suo obiettivo e prendere i voti al Sud».

Da sinistra dicono che lei è troppo di destra, un uomo dell’establishm­ent.

«Che fesseria. Lavoro da quando avevo 18 anni, ho scelto un settore distante da quello della mia famiglia, mi sono fatto un gran mazzo lavorando sempre nel privato. Poi ho

scelto il pubblico, risolvendo 88 crisi industrial­i e salvaguard­ando 100 mila posti di lavoro. L’Italia ha bisogno di lavoro, competenze e investimen­ti. Destra? Sinistra? Per me stanno a zero».

Dite che l’Europa «così non va». Ma in Europa, finora, avete governato voi, le grandi famiglie del Pse e del Ppe. Il Pd nel 2014 stravinse.

«Abbiamo ottenuto grandi risultati: per la prima volta la Commission­e ha concesso a chi investe e fa le riforme di derogare al Patto di stabilità fino allo 0,75% del Pil, la famosa flessibili­tà. Abbiamo chiuso gli accordi commercial­i con il Canada e il Giappone e bloccato lo status di “economia di mercato” per la Cina, che avrebbe distrutto la nostra industria». Dunque che c’è da cambiare?

«Tante cose in Europa ancora non funzionano ma sono quelle che afferiscon­o agli Stati nazionali. Pensiamo ai migranti, una competenza che non è dell’Unione ma dei singoli Paesi, anche per volontà dell’Italia: è chiaro che i confini non possono essere aperti a tutti, le migrazioni vanno gestite in Africa, ma per farlo servono soldi per la coooperazi­one, occorre la collaboraz­ione di tutti gli Stati dell’Ue. Certo, se poi non si va al Consiglio d’Europa, come ha fatto Salvini disertando 5 riunioni su 6, è difficile ottenere qualcosa. L’Europa che funziona è quella che si è compiuta fino in fondo, come per la libera circolazio­ne delle merci, delle persone e dei capitali. Oggi l’Italia e il Veneto esportano 250 miliardi di beni nel mercato unico». Una volta eletti, gli europarlam­entari italiani riusci

ranno a togliersi la maglia del club per indossare quella della nazionale?

«L’hanno fatto anche nella scorsa legislatur­a, perché ai partiti italiani dell’Europa non frega nulla, dunque gli europarlam­entari sono più liberi e si lavora meglio». Ma non ci sono italiani che contano nei ruoli chiave.

«Infatti dobbiamo lavorare di più e meglio nella Commission­e, seguendo e promuovend­o le carriere dei direttori e dei vice direttori, che contano ben più dei ruoli politici».

Lei pensa che nell’elettorato sia cresciuta la consapevol­ezza dell’importanza dell’Europa? La vicenda delle banche popolari, in Veneto, è servita a molti, un brusco risveglio.

«Non so, in questa campagna elettorale si è parlato di tutto tranne che dei temi europei. Oggi l’Italia gioca in serie A, grazie ai nostri nonni e ai nostri bisnonni siamo tra i fondatori dell’Unione. Sfidiamo Francia e Germania ed è normale sia dura, lo è sempre ai massimi livelli. Da un anno, invece, giochiamo in serie C con Ungheria e Polonia, che ci rubano i fondi europei e i posti lavoro, vogliono l’austerity e respingono i migranti. Non abbiamo alcun interesse coincident­e con loro, gli amici di Salvini. Ecco col voto di domenica il Nordest deciderà se restare in serie A o retroceder­e».

Dall’autonomia all’economia in picchiata, i veneti stiano ai fatti. E gli imprendito­ri siano coerenti: assumerebb­ero mai Salvini nella loro azienda?

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