Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Un voto contro il pessimismo

- Stefano Allievi

Le poche parole a disposizio­ne di chi esce da una scuola dell’obbligo malfatta, e da allora non ha più ripreso in mano un libro, arrendendo­si all’analfabeti­smo funzionale. Non solo, quindi, non c’è alcuna capacità di visione, di immaginare orizzonti: perché i limiti del pensiero sono i limiti del linguaggio che si ha a disposizio­ne. Ma tutto si riduce a mossette, a battutine, a polemicuzz­e, a frasette presunte ad effetto. Zero confronti tra i candidati: che li costringer­ebbero almeno ad articolare il proprio pensiero (il segnale forse più inquietant­e, dal punto di vista della sostanza della democrazia: eppure, in questo paese, pronamente accettato come un dato, sia dal giornalism­o che dalla pubblica opinione). Ed ecco che tutto, quindi, si riduce a schieramen­to: aprioristi­co, da tifo calcistico, e quindi per definizion­e stupido, e inutile. Con una percentual­e sempre maggiore di persone, non interessat­e a quel modo di essere (perché il tifo è un modo di essere, non solo di fare: e un metodo, prima ancora che una scelta), che finisce per astenersi.

Questo l’orizzonte: sconsolato, certo. Di fronte al quale la domanda inevitabil­e diventa: che fare? La prima risposta è difficile, ma va data: non lasciarsi prevaricar­e dal pessimismo. Votare, perché ce n’è bisogno, e perché si può fare, nonostante tutto, in maniera intelligen­te: scegliendo le persone con le preferenze, votando chi ci dice qualcosa di concreto, chi ci ispira personalme­nte fiducia, chi ha qualche competenza (e, almeno, come minimo sindacale, chi ci dice che eserciterà il mestiere per cui si candida). E, dal giorno dopo le elezioni, cominciare a ritrovare lo spazio e il gusto per l’esercizio della democrazia (che è una modalità di ascolto, prima che un modo di agire) in altri ambienti: dalla famiglia al lavoro, dal condominio al quartiere, dal consiglio parrocchia­le all’associazio­ne polisporti­va, dal volontaria­to alla cultura. Ricomincia­ndo a porsi gli interrogat­ivi di fondo della democrazia: perché? Come? Praticando­ne il dibattito e la presa collettiva di decisione come stile. Solo allora saremo di nuovo capaci di proporlo come stile anche della politica, come suo prassi, e come suo fine.

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