Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Scherzi» violenti, chiesta condanna per tre sottuffici­ali del Settimo alpini

Belluno, gli avrebbero piantato un chiodo nella spalla. La difesa: «Sono innocenti»

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BELLUNO «Siamo innocenti e totalmente estranei ai fatti». I tre sottuffici­ali del Settimo reggimento alpini, a processo in Tribunale a Belluno per presunti episodi di nonnismo nei confronti di un loro sottoposto alla Caserma Salsa, hanno voluto rendere spontanee dichiarazi­oni e offrire la loro versione dei fatti.

Uno dei tre, ieri pomeriggio, non è riuscito a trattenere le lacrime e l’udienza è stata sospesa per qualche minuto. Tuttavia, le deposizion­i non hanno convinto il pubblico ministero, che ha chiesto la condanna a 1 anno e 9 mesi di reclusione per ciascuno di loro. Si tratta del sergente maggiore Francesco Caredda, 41enne di Napoli, e dei due militari di grado inferiore Fabio Siniscalco, 31enne originario di Pisa, e Salvatore Garritano, 36enne di Cosenza, tutti difesi dall’avvocato Antonio Vele. Per la Procura, hanno molestato il 26enne caporalmag­giore Salvatore Di Rubbo dal 2015 al 2016, arrivando a piantargli un chiodo nella spalla destra durante un addestrame­nto in «stress mode» e a lanciargli cestini pieni di spazzatura mentre erano impegnati in un’esercitazi­one a Tolmezzo (Udine).

Nel fascicolo del pm, oltre ai reati di violenza privata e lesioni, ce ne sono altri due puniti dal Codice penale militare di pace: gli articoli 195 (violenza contro un inferiore) e 196 (minaccia o ingiuria a un inferiore). All’inizio partirono due indagini, una dalla Procura di Belluno e l’altra dalla Procura militare di Verona. Poi furono riunite e affidate al Tribunale ordinario che avrebbe dovuto giudicare il reato più grave. La violenza privata prevede infatti una condanna fino a quattro anni di reclusione, mentre l’articolo 195 contempla una punizione da uno a tre anni di carcere. Non è un caso se, ieri, le dichiarazi­oni dei tre sottouffic­iali hanno cercato di smontare proprio quest’accusa, spiegando fin da subito che si trattava di uno scherzo. «Ho preso il televisore dalla sua stanza – ha raccontato il sergente maggiore Caredda – con l’intenzione di portarlo nella macchina di Garritano. Siamo scesi giù per le scale e usciti nel piazzale. Lì, davanti all’auto, abbiamo scherzato. Non volevamo farglielo riprendere. Ci hanno visti in tanti, anche militari di grado superiore: se avessi commesso un reato l’avrebbero segnalato».

Secondo la pubblica accusa Di Rubbo è stato strattonat­o, tirato indietro per la giacca, impedito nei movimenti e colpito al volto con delle gomitate, tanto da riportare delle ferite al volto. Una situazione tutt’altro che goliardica. «Il graffio sul viso è stato casuale – ha detto invece Siniscalco – Noi facevamo una resistenza passiva: spalle alla macchina e faccia rivolta a lui. Probabilme­nte, nel cercare di prendere il televisore, si è graffiato sul feltro di una delle nostre giacche. Ma stavamo giocando e lui era nostro complice. Inoltre, quando abbiamo fatto le scale, siamo passati davanti all’ufficio del capitano. Avrebbe potuto fermarsi e denunciare l’accaduto ma non l’ha fatto».

L’aspetto tragico dell’intera faccenda è che il 26enne, in realtà, avrebbe dovuto ri

” Era solo uno scherzo, ci hanno visti anche militari di grado superiore e non sono intervenut­i

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In aula Il tribunale di Belluno

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