Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I COMUNI SENZA SOVRANITÀ

- Di Gigi Copiello

Sono nato e cresciuto nel Municipio di Velo d’Astico, dove mio padre faceva il Segretario comunale. Se valgono i ricordi e la memoria, le risorse erano poche ma il Comune era sovrano. Decideva anche le tasse, con la «tassa famiglia».

E faceva da sé il suo acquedotto, le sue fogne, le sue strade ed era anche il tempo dove ognuno faceva la casa e la fabbrica dove voleva. L’impegno più grosso di ogni anno erano le quattro scuole elementari, che si tenevano pulite, calde e si contava di farle sempre più grandi. Non c’era ancora la Regione, né la Comunità montana e un buon parlamenta­re bastava e avanzava per tenere i rapporti con Provincia e Stato. Senza esagerare peraltro: il pareggio di bilancio era l’undicesimo comandamen­to e di debiti nessuno voleva neanche parlarne. E a Mariano Rumor, che era il «nostro» parlamenta­re, si chiedeva giusto giusto«il giusto».

Con tutto ciò il sindaco andava in Municipio tre, quattro volte alla settimana e il grosso dell’attività si svolgeva in osteria o sul sagrato della chiesa, a messa finita.

Oggi, c’è di tutto e di più, ma una cosa è sicura: il Comune ha perso ogni sovranità. Le entrate proprie sono quasi solo le multe. Si è aggiunta la Regione e basta una collina per trovarsi in Comunità, montana.

Ogni e qualsiasi funzione è fatta in consorzio, in società, in unione, in distretto e ogni volta con Comuni diversi.

Nel paese dove oggi abito c’è il Consorzio per la sicurezza con 34 Comuni, la società per i rifiuti con 17 Comuni, il distretto per la protezione civile con 13 Comuni, l’Usl con 60 Comuni, l’associazio­ne per la gestione del suolo con 26 Comuni e qualcos’altro ancora, quando bisogna. In pratica, un rapporto con quasi tutti i Comuni della Provincia, a cui si aggiungono i Comuni di due altre Province. Il Municipio è solo un vano di un gran condominio.

Con tutto ciò il sindaco va in Municipio tutti i santi giorni e gli assessori altrettant­o, a districars­i tra ogni tipo di leggi, regolament­i, adempiment­i e provvedime­nti che arrivano da ogni angolo dell’universo e dentro cui incastrare, trovar posto e qualche volta soddisfare le domande dei cittadini e le questioni del paese. Con la certezza che una volta o l’altra ti sfugge qualcosa e ti trovi con una causa o, peggio, una denuncia. Si è persa la sovranità, ma si è «guadagnata» la reità.

Non è un caso allora che la «crisi di vocazioni» per il mestiere di amministra­tore locale si manifesti proprio nei Comuni più piccoli, dove la sovranità si è dissolta del tutto. E non è distante l’ipotesi che il riordino dei Comuni avvenga nei modi e nei tempi che vedono il riordino delle parrocchie: mancano i preti e quel che non s’è fatto per tempo e con virtù, si fa di corsa e per forza. Anche perché l’unica cosa sicura nei prossimi dieci anni ce la dice la demografia, la scienza degli uomini e donne già nate e che metteranno al mondo un po’ di figli: quel terzo dei Comuni italiani e veneti che sono i più piccoli perderanno, se già non l’hanno persa, anche la loro scuola elementare. Chiusa, per mancanza di piccoli. Ecco, ai signori ministri e assessori regionali, dimentichi del pareggio di bilancio dei tempi che furono e dispensato­ri di promesse a debito, questo vi sarebbe da chiedere: aiutate le comunità locali a essere su misura dei loro figli. E a ritrovare un po’ di sovranità.

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