Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IN VINO (POCA) VERITAS
Il boicottaggio dei vini veneti al Sud lanciato nei giorni scorsi e annunciato da un cartello – «bar devenetizzato» – che evoca sinistramente una pulizia per ora solo enologica, ripropone due questioni.
La prima è l’irresponsabile lungaggine con cui il governo ha trascinato la vicenda dell’autonomia, trasformandola, da grande tema civile e politico, nell’ennesimo scenario in cui si replica l’incompatibilità di due coinquilini forzosi (Lega e Cinque Stelle) che a mettersi d’accordo proprio non ce la fanno. Sono in molti a provare uno sconcerto sempre più vivo di fronte all’ennesima degenerazione di un problema, che avrebbe potuto essere risolto da tempo con un grande dibattito politico.
Qualsiasi persona, non si dice investita di un altissimo ruolo pubblico, ma dotata di un minimo senso di responsabilità, avrebbe capito che, abbandonato a sé stesso, il conflitto scade, si incanaglisce, produce reazioni incongrue al livello più basso, scatenando l’inevitabile guerra dei poveri.
Mentre i governi dei grandi Paesi tutelano e promuovono i loro prodotti, noi insceniamo la guerra del prosecco contro il cirò, con reciproche accuse di impiego di pesticidi e altre porcherie, presumibili occasioni di allegri brindisi per i nostri concorrenti. La seconda questione riguarda la conflittualità sociale, che è ormai divenuta pulviscolare.
La seconda questione riguarda la conflittualità sociale, che è ormai divenuta pulviscolare. Perché analoghe contrapposizioni tra Nord e Sud no0n esplosero nei decenni in cui i meridionali erano davvero considerati «terroni», cioè quando l’immigrazione degli anni ‘50 e ‘60 aveva creato un clima non certo favorevole all’incontro e alla comprensione? La risposta credo vada cercata nell’aggressività sociale, oggi sempre più dilagante e di cui la Rete offre testimonianze incessanti e paradigmatiche. Non ci vuole nulla perché una semplice divergenza di opinioni scada in una rissa e il civile confronto sia travolto dal più grossolano hate speech. Sembrano saltati, non si dice i freni inibitori, ma l’elementare rispetto del proprio interlocutore. Vincere non significa affermare le proprie idee, ma squalificare l’avversario. Così la guerra continua: le colline delle bollicine laureate dall’Unesco contro i boschi della Sila bocciati, il prosecco di Conegliano contro le mozzarelle Gioia del Colle, l’efficienza contro la mafia, il privilegio contro il razzismo, e via canagliescamente semplificando.
Se i politici sembrano indaffarati in altre questioni, spetta alla gente non indulgere in facili semplificazioni, onorando fra l’altro la propria intelligenza. Con gli stereotipi non andremo molto lontano. Ci aiuteranno invece il rispetto e il senso di responsabilità. Piuttosto di far balenare fantasmi di secessione, rimandando al mittente analoghe e ormai dismesse bandiere, credo sarebbe il caso di riscoprirci finalmente nazione, cioè comunità unita da interessi analoghi. Abbiamo una consolidata vocazione storica di Paese fratricida, ma non sembra averci aiutato un granché. Concordia discors, era il modo in cui Orazio chiamava un positivo contrasto di idee e sentimenti. A farci grandi sono state le differenze: nell’arte, nella cultura, nella gastronomia e sì, anche nei vini. Valorizziamole positivamente, lasciando che i muri, anzi i muretti, siano solo quelli dei vigneti.