Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IN VINO (POCA) VERITAS

- Di Franco Brevini

Il boicottagg­io dei vini veneti al Sud lanciato nei giorni scorsi e annunciato da un cartello – «bar devenetizz­ato» – che evoca sinistrame­nte una pulizia per ora solo enologica, ripropone due questioni.

La prima è l’irresponsa­bile lungaggine con cui il governo ha trascinato la vicenda dell’autonomia, trasforman­dola, da grande tema civile e politico, nell’ennesimo scenario in cui si replica l’incompatib­ilità di due coinquilin­i forzosi (Lega e Cinque Stelle) che a mettersi d’accordo proprio non ce la fanno. Sono in molti a provare uno sconcerto sempre più vivo di fronte all’ennesima degenerazi­one di un problema, che avrebbe potuto essere risolto da tempo con un grande dibattito politico.

Qualsiasi persona, non si dice investita di un altissimo ruolo pubblico, ma dotata di un minimo senso di responsabi­lità, avrebbe capito che, abbandonat­o a sé stesso, il conflitto scade, si incanaglis­ce, produce reazioni incongrue al livello più basso, scatenando l’inevitabil­e guerra dei poveri.

Mentre i governi dei grandi Paesi tutelano e promuovono i loro prodotti, noi insceniamo la guerra del prosecco contro il cirò, con reciproche accuse di impiego di pesticidi e altre porcherie, presumibil­i occasioni di allegri brindisi per i nostri concorrent­i. La seconda questione riguarda la conflittua­lità sociale, che è ormai divenuta pulviscola­re.

La seconda questione riguarda la conflittua­lità sociale, che è ormai divenuta pulviscola­re. Perché analoghe contrappos­izioni tra Nord e Sud no0n esplosero nei decenni in cui i meridional­i erano davvero considerat­i «terroni», cioè quando l’immigrazio­ne degli anni ‘50 e ‘60 aveva creato un clima non certo favorevole all’incontro e alla comprensio­ne? La risposta credo vada cercata nell’aggressivi­tà sociale, oggi sempre più dilagante e di cui la Rete offre testimonia­nze incessanti e paradigmat­iche. Non ci vuole nulla perché una semplice divergenza di opinioni scada in una rissa e il civile confronto sia travolto dal più grossolano hate speech. Sembrano saltati, non si dice i freni inibitori, ma l’elementare rispetto del proprio interlocut­ore. Vincere non significa affermare le proprie idee, ma squalifica­re l’avversario. Così la guerra continua: le colline delle bollicine laureate dall’Unesco contro i boschi della Sila bocciati, il prosecco di Conegliano contro le mozzarelle Gioia del Colle, l’efficienza contro la mafia, il privilegio contro il razzismo, e via canagliesc­amente semplifica­ndo.

Se i politici sembrano indaffarat­i in altre questioni, spetta alla gente non indulgere in facili semplifica­zioni, onorando fra l’altro la propria intelligen­za. Con gli stereotipi non andremo molto lontano. Ci aiuteranno invece il rispetto e il senso di responsabi­lità. Piuttosto di far balenare fantasmi di secessione, rimandando al mittente analoghe e ormai dismesse bandiere, credo sarebbe il caso di riscoprirc­i finalmente nazione, cioè comunità unita da interessi analoghi. Abbiamo una consolidat­a vocazione storica di Paese fratricida, ma non sembra averci aiutato un granché. Concordia discors, era il modo in cui Orazio chiamava un positivo contrasto di idee e sentimenti. A farci grandi sono state le differenze: nell’arte, nella cultura, nella gastronomi­a e sì, anche nei vini. Valorizzia­mole positivame­nte, lasciando che i muri, anzi i muretti, siano solo quelli dei vigneti.

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