Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Uccise la figlia neonata, indagini chiuse
La psicologa sostiene che la donna era «totalmente incapace di intendere e volere»
BOLZANO VICENTINO «Totalmente incapace di intendere e volere» ma anche «pericolosa socialmente», anche è una pericolosità «che è andata attenuandosi». È quanto sostiene la psicologa chiamata ad esprimersi su Federica Ziliotto, che lo scorso 20 gennaio, mentre allattava, ha gettato a terra sua figlia di quattro giorni, uccidendola per poi cercare di togliersi la vita. La procura ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio della donna.
BOLZANO VICENTINO Federica Ziliotto non era in sé la sera del 20 gennaio, quando, dopo aver allattato la sua bimba di quattro giorni, l’ha sbattuta per due volte a terra, uccidendola. E quando, subito dopo, ha usato un coltello da cucina intenzionata a sgozzarsi, non riuscendoci solo per l’intervento tempestivo del marito. L’impiegata di Bolzano Vicentino era preda a un black out momentaneo, in uno stato di alienazione della sua persona, come se vivesse da fuori, in un film, quanto di terribile stava accadendo in casa, tornata solo la sera prima dall’ospedale di Vicenza con la primogenita tanto desiderata. Preda di «uno stato dissociativo transitorio o di una psicosi breve», con un «aspetto personologico alterato» a detta degli esperti. «Totalmente incapace di intendere e volere» ma anche «pericolosa socialmente». Una pericolosità che però è andata attenuandosi.
Questo l’esito della perizia a cui la psichiatria Alessia Cicolini, nominata dal giudice Matteo Mantovani, ha sottoposto la 42enne, ricoverata da subito dopo la tragedia in ospedale, piantonata in stato arresto per omicidio volontario aggravato. Ospedale San Bortolo che l’impiegata, assistita dall’avvocato Elisabetta Cardello, ha lasciato solo dopo quasi sette mesi, lo scorso 10 luglio, trasferita in una casa di cura di Vicenza, seguita sempre da uno psicologo e attorniata dall’affetto della sua famiglia, a partire dal marito. Un ricovero, questo, volontario, comunque in regime di libertà vigilata. Quando invece era stata sollecitata per lei la misura di sicurezza in una struttura Rems, quello che era l’ospedale psichiatrico giudiziario. Richiesta, questa, avanzata dai titolari dell’inchiesta, i sostituti procuratori Claudia Brunino e Hans Roderich Blattner, che hanno già chiuso le indagini preliminari e che, trascorsi i venti giorni per depositare memorie o farsi interrogare, potrebbero chiedere il rinvio a giudizio della donna. Pur sapendo che si andrà verso un’assoluzione per vizio totale di mente, con la possibilità comunque di applicare una misura di sicurezza.
Ziliotto aveva affrontato il parto senza problemi. Quelli sono sorti dopo la nascita della sua bimba: nei primi quattro giorni in cui aveva dormito in tutto solo dieci ore, attanagliata dalla frustrazione di non riuscire a dare alla sua Alice il latte di cui aveva bisogno, di non riuscire a prendersene cura. La fine di un inizio che non c’è mai stato. A impregnare di dolore i tanti sogni e progetti, a rendere funerei quei fiocchi rosa e quelle coccarde appese un po’ in tutta la casa dove era stata sistemata la culla, l’improvviso black out, l’alienazione da sé. Che ha indotto la 42enne ad uccidere la creatura che aveva portato per nove mesi in grembo urlando «L’ammazzo!», «Mi ammazzo!» mentre la scaraventava a terra di testa. Una «psicosi post parto», una condizione depressiva, come diagnosticato già in ospedale. Una «psicosi breve» come specificato dall’esperta nominata dal giudice e dai consulenti di procura e difesa. Con una pericolosità che è più per se stessa visto il rischio, fin dai primi giorni, che tentasse ancora di ferirsi, pensando di non meritare di vivere, di doversi punire per aver ammazzato la sua Alice. «Mia figlia, mia figlia, cos’ho fatto?» continuava a ripetere confusa la donna in ospedale, dicendo «voglio solo sparire». Inconsolabile per quel lutto che porta nel cuore e che probabilmente nemmeno il tempo potrà sanare.