Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Goldin a Verona La grande arte del Novecento
Da Chagall a Kandinsky: i capolavori dalla Fondazione Maeght a Verona, a cura di Goldin. Un racconto sulla grande arte del Novecento
Materia consumata, scarnificata, come fosse stata morsicata o corrosa dall’acido. Di quella creatura a quattro zampe non è rimasto quasi nulla se non la carcassa. «Sono io. Un giorno mi sono visto così in strada. Ero il cane». Questa la confessione di Alberto Giacometti allo scrittore Jean Jenet davanti alla sua opera Le chien, dall’impasto indefinito, un «mostro» solitario dall’aspetto primitivo. La scultura del cane - la silhouette del levriero afgano dell’amico Pablo Picasso - insieme a Le chat fu esposta nel 1951 in una personale allestita alla Galleria Maeght di Parigi che sancì l’approdo dello scultore svizzero al suo personalissimo alfabeto, figurazioni filiformi sinonimo del senso della precarietà insito nell’esistenza. Eccoli a Verona cane e gatto, li vediamo in un angolo del salone centrale del Palazzo della Gran Guardia a sovrintendere idealmente alla narrazione della mostra «Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght», da oggi al 5 aprile 2020, a cura di Marco Goldin, prodotta da Linea d’ombra. Con alle spalle gli animali di Alexander Calder, i due quadrupedi «galleggiano» nello spazio, fedeli compagni degli altri protagonisti, tutti affannosamente alla ricerca di un tempo senza tempo che esca dai flussi del vivere.
Nella grande sala arricchita alle pareti da creazioni di Mirò, il centro della scena è occupato da tre superstar giacomettiane del 1960: la Grande
femme debout, di quasi tre metri di altezza, L’Homme qui marche e la Grande tête. Un allestimento teatrale e al tempo stesso sobrio, così come lo era il maggiore scultore del XX secolo, tra povertà e ricchezza, tra astrazione, figurazione ed esistenzialismo sartiano. Promossa da Comune di Verona e Linea d’ombra, con la Fondazione Marguerite e Aimé Maeght, main sponsor Gruppo Baccini, la rassegna ripercorre l’intero percorso di Giacometti (1901-1966) con 75 tra sculture, disegni e dipinti, affiancati da altri 20 capolavori coevi alla permanenza dello scultore a Parigi firmati Matisse, Braque, Chagall, Mirò, Kadinsky, Derain, Leger, Bonnard.
Tutto giunto dalla Fondazione di Saint-Paul-de-Vence e dalla famiglia Maeght. Tre mostre in una: la più ampia monografica in Italia dedicata a Giacometti ma anche una storia di famiglia – di artisti, a cominciare dalle figure chiave del padre pittore e del fratello Diego, assistente-modello - e una vicenda di mecenatismo, anch’essa storia di famiglia, quella «allargata» degli artisti amici dei coniugi Maeght. L’excursus inizia coi disegni familiari del tempo giovanile sui monti della Svizzera, per poi catapultarsi alle prove tra surrealismo, post-cubismo e le culture «altre»: dalla costruzione dei volumi de La donna cucchiaio (1926-27) all’ancestralità de L’oggetto invisibile (1934-35). Su una parete Isolatamente (1930) di Kandinsky. Il successo di Giacometti esplode, ma lui si rinchiude alla ricerca d’altro. Dov’è andata a finire la figura umana? Ecco germinare nuove creature, quelle che nel ’48 esporrà in America col gallerista Pierre Matisse e poi con i Maeght nella mitica galleria parigina. Le figure si assottigliano e si ancorano a terra con grandi sproporzionate basi, tra realtà e al di là, per dare un senso alla sofferenza, con lo sguardo agli egizi. Scenografica la sfilata della Femme de Venise esposta alla Biennale veneziana del 1956, proposta nelle sue nove variazioni; e le Piazze abitate da personaggi avvolti nella solitudine. Una sala è dedicata ancora ai disegni, «stenografie dell’anima» sottolinea Goldin. L’esplosivo finale è col tempo di Chagall, Mirò, Derain, Leger e Braque. I tanti tempi del Novecento.
Nella foto grande, Marco Goldin accanto all’«Uomo che cammina» di Giacometti, una delle opere della mostra che apre alla Gran Guardia di Verona Nella foto piccola, un quadro di Miró (Sartori)